La descrizione del disastro è tutta nel documento che la Conferenza delle Regioni ha presentato ieri alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. Cifre messe in fila una dietro l’altra, e rapportate – significativamente e per contrasto – al taglio di Tasi e Imu: la sanità viene martoriata, tradendo il Patto della Salute firmato con i governatori, mentre dall’altro lato si consolida lo sconto ai proprietari di immobili. Sgravio di cui beneficiano nell’immediato anche i lavoratori e la classe media, certo, ma che poi rischieranno di pagare caro quando si ammaleranno e non potranno rivolgersi ad altri che a un ospedale pubblico. Sono già 14,7 i miliardi tagliati alle Regioni nell’ultimo quinquennio – il 30% dei quali solo nel 2015-2016 – e si supereranno i 16 miliardi nel prossimo triennio.

L’incontro con il premier Matteo Renzi fino a ieri non era ancora stato definito: potrebbe tenersi oggi, o slittare a domani, troppo alta è stata la tensione dopo le parole nette di Sergio Chiamparino, che hanno dato fastidio a Palazzo Chigi. Ieri il presidente della Conferenza delle Regioni le ha ribadite: «Abbiamo denunciato una situazione molto difficile, per la quale auspichiamo un accordo con il governo che vada oltre questa legge di stabilità. Altrimenti, i tagli dal 2017 al 2019 mettono a rischio la sopravvivenza del sistema Regioni».

I tagli previsti per le Regioni, spiega il documento presentato alle Camere, sono «strutturali e continuativi» sulla spesa corrente «e nel triennio 2016-2018 aumentano dell’80%», mentre al contrario i ministeri sono stati in qualche modo risparmiati, o perlomeno trattati meglio: nello stesso triennio, infatti, i tagli ai ministeri sono «in riduzione del 45% e per il 2016 la metà dei risparmi è sugli investimenti».

Ma la denuncia delle Regioni è ancora più circostanziata, e assume un valore politico, oltre che semplicemente tecnico, perché si mettono in parallelo i tagli alla sanità con quelli delle tasse sulla prima casa: «Il taglio continuativo del Fondo sanitario nazionale e gli ulteriori risparmi richiesti alle Regioni, sono centralizzati per finanziarie permanentemente la riduzione delle imposte sulla prima casa».

E se il governo afferma che le risorse sono aumentate, questo però si deve intendere in senso assoluto, perché relativamente al piano aggiornato delle esigenze, concordato peraltro nel Patto della Salute, al contrario i fondi sono stati pesantemente decurtati: «Il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale per il 2016, previsto nel Patto per la salute, era pari a 115.444 milioni, ora è di 111.000 milioni», scrivono le Regioni. Segnalando dunque che quel patto, firmato con il ministero della Salute, oggi viene di fatto tradito.

Ma a parte il capitolo tagli, che si riverserà inevitabilmente sulle prestazioni – e come ha notato Chiamparino, per il 2016 manca un miliardo per i livelli essenziali di assistenza, i piani vaccinali e i farmaci salvavita – dall’altro lato c’è il nodo dei ticket e/o delle addizionali Irpef che le Regioni si potrebbero veder costrette a innalzare.

Il governatore del Piemonte ha spiegato che nella sua regione non intende «aumentare i ticket né le tasse», ma ha poi aggiunto di non essere «in grado di prevedere se qualche Regione a causa dei tagli si troverà costretta a farlo».

E quanto potrebbe venire a costare alla famiglia italiana media l’aumento dell’imposizione? Ben 220 euro l’anno, calcola la Uil, se si tiene conto delle addizionali nelle nove regioni che presentano un extra deficit sanitario: «In Piemonte, Liguria, Lazio, Abruzzo, Campania, Molise, Calabria, Puglia e Sicilia le aliquote potrebbero salire fino al 3,3%, con il rischio di possibili aumenti medi del 47,4% (221 euro medi pro capite) per oltre 13 milioni di contribuenti».

«Non vado con spirito di divertimento ma con spirito di lavoro: lo considero un importante e impegnativo appuntamento nella mia agenda di lavoro», ha replicato Chiamparino al premier Renzi, che rispetto all’incontro programmato a Palazzo Chigi aveva detto: «Adesso ci divertiamo, ma sul serio». «Rappresentare delle esigenze non significa fare proposte eversive», ha concluso il governatore.

E la conferma che nella maggioranza si starebbe pensando di ridimensionare il ruolo delle Regioni è venuta non solo dalla ministra della Salute Beatrice Lorenzin, che che nei giorni scorsi aveva definito un «errore fatale» delegare la sanità alle Regioni, ma anche da una proposta presentata ieri dall’Anci (Comuni) in Commissione Affari costituzionali della Camera: l’idea, esposta dal vicepresidente Matteo Ricci (piddino molto vicino a Renzi), prevederebbe il dimezzamento delle regioni e l’accorpamento dei comuni, creando fusioni e unioni.