Da sempre celebrato modello di democrazia liberale, la Gran Bretagna gode di una fama consolidata, quella di essere un luogo tollerante, una nazione che ha sempre accolto rifugiati politici dissidenti e anche rivoluzionari: Marx, Herzen, Bakunin, tanto per citarne tre. Vero, soprattutto perché costoro avevano di solito l’attenuante di rivolgere altrove le loro pericolose mire insurrezionali. Quando si tratta però del «nemico interno» (The enemy within, come Margaret Thatcher apostrofò i minatori gallesi in sciopero nel 1984) allora la tolleranza tanto celebrata dai Mill e dei Bentham è momentaneamente sospesa.
Per questo sorprende poco o nulla la notizia che dalla fine della seconda guerra mondiale e per tutta la guerra fredda l’MI5, i servizi segreti nazionali, avessero spiato alcuni fra i massimi intellettuali comunisti del paese: gli storici Eric Hobsbawm e Christopher Hill, regolarmente iscritti al poco più che larvale partito comunista britannico (Cpgb) soprattutto, ma anche le scrittrici Doris Lessing e Iris Murdoch.
I dossier sono divenuti consultabili lo scorso venerdì presso l’archivio di stato di Kew, estremo ovest di Londra. Le spie del governo ascoltarono ore di telefonate, lessero chilometri di lettere, origliarono su vicende private e professionali: come la Stasi insomma, ma nel nome della libertà. Ironia volle non solo che né Hobsbawm né Hill avessero intenzione alcuna di defezionare per Mosca o tantomeno di fungere da spie: come gli agenti segreti poi avrebbero scoperto a proprie spese, le spie di Mosca – quelle vere – erano i «Cambridge five» (Philby, Burgess, Maclean, Blunt; il quinto è ancora da identificare) una rete di studiosi, double agents e diplomatici che per anni avevano passato segreti e informazioni al nemico sovietico. Prevedibilmente, il materiale nelle mani dell’MI5 abbonda di frammenti di insignificante vissuto privato o di vicende inerenti alla linea politica del partito: i dissidi coniugali di Hill e le diatribe tattico-strategiche che Hobsbawm aveva con la dirigenza del Cpgb.
Pur senza assumere i toni trucidi del coevo maccartismo americano, in Gran Bretagna l’anestesia del conflitto avrebbe fatto sì che Hobsbawm, una della figure torreggianti della storiografia novecentesca, non ottenesse la tanto agognata cattedra di Cambridge, da sempre culla del dissenso accademico britannico. Non altrettanto per Hill, autore di studi fondamentali di storia inglese del XVIII secolo, Cromwell e la guerra civile, che per dodici anni ebbe una posizione di rilievo all’oxfordiano Balliol College.
Nel dopoguerra, il partito comunista britannico vantava l’iscrizione di alcune delle menti più illustri dell’accademia nazionale. Oltre a Hill e Hobsbawm, il famoso «Gruppo degli storici del partito comunista» comprendeva tra gli altri E. P. Thompson, Raphael Samuel, John Saville, Dana Torr, Dorothy Thompson e George Rudé.
Tra le cose più rilevanti emerse dalle carte, la conferma di quanto già Hobsbawm – che non lasciò mai il partito – aveva raccontato nella sua autobiografia, Anni interessanti: dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, che trasmise un’ondata di travaglio ideologico culminata con una diaspora d’intellettuali dai partiti europei – in Italia, tra gli altri, Italo Calvino, Natalino Sapegno, Elio Vittorini – durante un’animata riunione presso la sede del partito lui, Hill e Lessing decisero di scrivere una lettera di critica indirizzata alla direzione del partito che ne stigmatizzava l’obbedienza supina alla linea ufficiale, lettera che l’allora quotidiano del partito, il Daily Worker si guardò bene dal pubblicare.
La lettera, che peraltro non conteneva un’aperta condanna dell’invasione, si limitava a dichiarare che «pur approvando, a malincuore, quanto sta accadendo in Ungheria, dovremmo francamente aggiungere che riteniamo che l’Urss dovrebbe ritirare le proprie truppe dal paese il più presto possibile». Era la linea del «My Party, Right or Wrong, My Party» (Il mio partito, giusto o sbagliato che sia), che Hobsbawm non rinnegò mai.
Il ricorso a mezzi non esattamente democratici da parte delle democrazie liberali occidentali per controllare il dissenso stona parecchio con la narrativa dominante di un sistema che della tolleranza del dissenso fa una sua bandiera. Passata l’epoca delle lettere aperte col vapore, delle cimici dietro ai quadri e delle microspie nelle cornette telefoniche, si apre quella di una collettività schedata politicamente ed emotivamente attraverso il commercio dei big data.
Hobsbawm, che è scomparso nel 2012, all’età di 95 anni, tre anni prima di Cristopher Hill, aveva chiesto già cinque anni fa di poter vedere il proprio faldone. Invano.