A Jeanette Winter piacciono le biografie. Soprattutto, ama raccontare le vite di chi ha incontrato sulla sua strada (immaginaria). Classe 1939, autrice di testi e anche illustratrice by self di albi per la letteratura d’infanzia, Jeanette ha parlato ai bambini di Georgia O’Keeffe come di Beatrix Potter, ma anche degli artisti maliani «bogolan», le cui mani si muovono veloci per fermare il fango nei disegni dei tessuti.
Ora, la sua creatività arriva in Italia in versione doubleface, con un libro leggibile comunque lo si rivolti, pubblicato da Nord-Sud edizioni: due storie a specchio di ragazzini coraggiosi, che veicolano lo stesso messaggio pur se finite in maniera molto diversa. Una con la morte del protagonista anche se la sua lotta non è stata vana, l’altra con un Nobel (per la pace), che ha riconosciuto la battaglia di una piccola studentessa contro i mostri dell’ignoranza.

In entrambi i casi siamo in Pakistan e, di fronte al lettore, si snodano due esistenze simili perché non libere, intrappolate in pregiudizi culturali o in schiavitù economica: Iqbal, il bambino che cuciva tappeti intessendoli di ribellione, e Malala, la ragazza che voleva studiare sfidando le proibizioni dei talebani, rappresentano la coppia di personaggi che riesce ad uscire dai confini di una regione, a spezzare le catene e a scrivere una storia universale. La pagheranno cara, Iqbal carissima, assassinato a soli dodici anni.

«La storia di Iqbal Masih mi è rimasta nel cuore dal momento in cui ho letto il suo necrologio il 19 aprile 1995, tre giorni dopo la sua uccisione – spiega in apertura dell’albo Jeanette Winter – Ho saputo della sua vita e del coraggio che ha dimostrato condannando apertamente il lavoro forzato dei bambini nell’ambito del commercio di tappeti in Pakistan. Quando il 9 ottobre del 2012 ho saputo di Maiala Yousafzai, colpita da un proiettile per essersi schierata a favore del diritto all’istruzione per le ragazze, ho pensato nuovamente a Iqbal. Il coraggio di questi due ragazzi, di molto superiore alla loro tenera età, mi ha indotta a scrivere questo libro».

Le immagini – date a piatto, nel caratteristico stile dell’autrice che ritaglia le figure come fossero un collage – guidano nella comprensione di una realtà infantile durissima: per ellissi, viene saltato il frame in cui Iqbal abbandona i pedali della sua bicicletta e si accascia, colpito da una pallottola letale, così come non vedremo cadere Malala sotto i colpi di arma da fuoco nell’autobus ma la ritroveremo in ospedale, mentre affila la sua vendetta migliore: legge, alla faccia dei suoi killer. Al centro del libro, Malala e Iqbal si guardano, sono legati dal filo di un aquilone, una licenza poetica che inventa una possibile nuova «trama» nel bel mezzo di un cielo stellato.