Il documento più importante, e attualmente meno conosciuto, del governo Renzi ha ricevuto ieri sera il «bollino» dalla Ragioniera dello Stato. Dopo essersi inabissata per giorni nei corridoi dell’alta burocrazia di Stato, la legge di stabilità è arrivata «ufficialmente» al Quirinale,planando sul tavolo del presidente della Repubblica Napolitano. Lo ha comunicato il ministero dell’Economia su twitter, il social media più usato nei palazzi romani, dove ieri la battaglia tra il Mef e l’agenzia Ansa è proseguita a lungo sul «bonus bebè». Inizialmente era appannaggio solo delle famiglie con reddito basso e non doveva essere inferiore ai 900 euro dal 2015, da erogare in un’unica rata per ogni bimbo nato o adottato. Dopo il lancio il Tesoro è intervenuto con due tweet per puntualizzare che il tetto per il bonus resta a 90mila euro annui e che sarà comunque erogato mensilmente.

In attesa del misterioso testo definitivo, i risicati 500 milioni di euro annui corrisposti dall’Inps verranno erogati alle famiglie comunitarie o extra-comunitarie numerose che presenteranno prima la domanda. Un esempio di democrazia «veloce», quella che piace al premier Renzi.Se nuovo è lo strumento degli annunci, anche quelli più banali che diventano psicodrammi oggetto di retroscena sui quotidiani, vecchio resta il contenuto delle bozze in circolazione. Prendiamo la scuola, cavallo di battaglia di Renzi. Il potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro e l’assunzione dei 148 mila insegnanti precari «verranno pagati dalla stessa scuola – sostiene Marcello Pacifico dell’Anief – Vengono cancellati gli esoneri dei vicari dei presidi, spariscono le supplenze brevi, tagliati oltre 2mila unità di personale Ata, si abrogano i commissari esterni degli esami di maturità, vengono sottratti 30 milioni dal fondo per le attività a supporto della didattica. E viene pure tagliato di 100 milioni il Fondo per le non autosufficienze. Ci troviamo davanti all’ennesima manovra a costo zero».

Non va meglio sul fronte dell’aumento dell’Iva. Nella giornata di ieri è diventato uno spauracchio. Sembra infatti che per garantire le coperture, senza far scattare nuovi pesanti tagli, in una manovra che i custodi dell’austerità di Bruxelles stanno analizzando al microscopio, il governo sia pronto a fare scattare nel 2016 una clausola di salvaguardia. L’Iva agevolata al 10% potrebbe crescere di 2 punti nel 2016 e di un altro nel 2017. Si dice che l’aliquota ordinaria del 22% possa salire al 24% nel 2016, al 25% nel 2017, al 25,5% nel 2018. «Al di là degli effetti negativi su Pil e consumi – è l’analisi dell’ufficio studi Confcommercio – questi incrementi d’imposta deprimeranno anche il gettito atteso ex ante, attraverso una verosimile accelerazione dei processi di evasione ed elusione». Di maxi-stangata pari a 791 euro a famiglia (250 euro solo nel 2016) parla il Codacons: «Le famiglie reagiranno riducendo ulteriormente i consumi, e ciò provocherà effetti a catena devastanti».

Scenari che non turbano l’ottimismo del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi secondo il quale la manovra segna una «discontinuità positiva»: interviene sul cuneo fiscale e contributivo, elimina la componente costo del lavoro dalla base imponibile Irap e favorisce la decontribuzione (8.060 euro annui) per le assunzioni a tempo indeterminato. È la conferma della centralità dell’impresa. Benefici che potrebbero essere pagati con l’aumento dell’Iva o con i tagli da 4 miliardi alle regioni e di 1,2 ai comuni che sono in rivolta. Nella frenesia caotica che contraddistingue queste ore, per qualche minuto ieri è sembrato che il vertice tra governo e enti locali previsto per stamattina alle otto fosse saltato. Il sindaco di Torino Chiamparino ha poi smentito. Quello con i comuni si terrà giovedì 30 ottobre. Resta il dissidio di fondo. La conferenza delle regioni si presenterà compatta: «Bisogna trovare meccanismi che non incidano in maniera così dura su sanità e trasporti, sui tagli reali ai cittadini» ha detto il presidente della Campania, Stefano Caldoro. La contro-proposta è recuperare fondi non utilizzati già presenti nei saldi della finanza pubblica.