L’Egitto che chiede libertà, diritti, dignità, che si oppone alla svendita del Paese, simboleggiata dalla cessione alla petromonarchia saudita delle isolette di Tiran e Sanafir, l’Egitto che il presidente-dittatore Abdel Fattah al Sisi descrive come la «forza del male», ha sfidato ieri le migliaia di poliziotti e militari schierati dal regime per schiacciare le proteste al Cairo. Quell’Egitto ha vinto, proprio nel giorno, il 25 aprile, del 34esimo anniversario del completamento del ritiro di Israele dalla penisola del Sinai. Poco importa il numero dei partecipanti alle manifestazioni. Conta la rinnovata volontà di tanti egiziani, incuranti delle centinaia di arresti preventivi eseguiti dalla polizia nei giorni scorsi, di rilanciare lo spirito della rivoluzione del 25 gennaio del 2011 contro un altro dittatore, Hosni Mubarak. La rivoluzione di piazza Tahrir che il regime, raccontava tre giorni fa Sudarsan Raghavan sulle pagine del Washington Post, ora vuole cancellare dai libri di scuola, come se non fosse mai avvenuta, così come la carneficina di tre anni fa al Cairo di militanti e simpatizzanti dei Fratelli Musulmani.

La cronaca della giornata di ieri è un lungo elenco di manifestazioni, talvolta di poche decine di persone, disperse con la forza, di lanci di candolotti lacrimogeni, di arresti, di raid, in diversi parti della capitale egiziana, anche se gli incidenti principali si sono concentrati nel distretto di Giza e a Dokki dove viveva Giulio Regeni. Arrestata nei pressi di piazza Tahrir, e poi rilasciata, la cronista Basma Mostafa che, per conto del sito d’informazione Dot Masr, aveva intervistato i familiari di alcuni degli egiziani, presunti membri di una banda criminale, uccisi dalla polizia e poi accusati dalle autorità egiziane di essere i responsabili del rapimento e dell’assassinio del giovane ricercatore italiano. Una versione ridicola. Oltre a Basma Mostafa sono stati arrestati altri giornalisti, come Mohamed El Sawi, Hisham Mohammad (al Watan), e i francesi Efa Sheef, Sam Forey, Etienne Bouy e Jenna Le Bras rilasciati nel tardo pomeriggio assieme a un danese e un ungherese. La corrispondente della Bbc, Orla Guerin, ha denunciato sul suo account di Twitter che lei e il suo team sono stati fermati dalla polizia nei pressi di piazza Tahrir.

Un numero imprecisato di attivisti sono stati arrestati dopo un’incursione a Dokki nella sede del partito El Karama (nasserista) guidato da Hamdin Sabbahi, candidato della sinistra alle passate presidenziali. La polizia inoltre ha di fatto chiuso per tutto il giorno gli uffici di alcuni ordini professionali e ha presidiato con decine di agenti la sede del sindacato dei giornalisti, storico punto di riferimento per tante manifestazioni, eseguendo fermi ed arresti in tutta la zona. In serata la polizia non ha consentito a un componente del consiglio del sindacato, Khaled al Balshy, di incontrare i giornalisti egiziani detenuti. Da segnalare, sempre al Cairo, l’arresto due giorni fa del socialista Haytham Mohamadein e quello compiuto ieri poco prima dell’alba di Ahmed Abdallah, direttore del consiglio di amministrazione della «Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà», che ha documentato la scomparsa di centinaia di egiziani, detenuti con ogni probabilità nelle carceri del regime. Domenica era stato arrestato anche uno studente dell’American University del Cairo, Ibrahim Tamer, noto per la sua opposizione al regime di al Sisi.

La protesta più consistente è avvenuta in piazza Mesaha, nel governatorato di Giza, dove si sono radunate centinaia di persone che hanno scandito slogan contro il regime e la cessione di Tiran e Sanafir all’Arabia saudita e chiesto la scarcerazione di tutti gli egiziani arrestati nel fine settimana. La polizia è intervenuta con violenza quando i manifestanti si sono spostati in via Dokki, lanciando lacrimogeni e sparando proiettili di piccolo calibro. In quei momenti gli elicotteri delle forze di sicurezza sorvolavano il Cairo in segno di ammonimento. Le manifestazioni si sono allargate a Mansoura, Zagazig e altre località. L’attivista Zeyad Salem ha riferito che ieri sono state arrestate almeno 161 persone, in maggioranza a Dokki. Secondo altre fonti il totale sarebbe più alto.

Intanto le autorità egiziane confermano di voler portare in giudizio la Reuters che accusano di aver pubblicato «notizie false che disturbano l’ordine pubblico e la reputazione dell’Egitto». L’agenzia britannica il 21 aprile aveva indicato il commissariato di Izbakiya come quello dove sarebbe stato portato Giulio Regeni dopo essere stato arrestato il 25 gennaio. La Reuters ha difeso il lavoro della sua redazione e negato che il capo della sua sede al Cairo, Michael Georgy, abbia lasciato l’Egitto per evitare l’arresto. Nei giorni scorsi una tv vicina al regime, al Hadath al Youm, ha «mandato al diavolo» Giulio Regeni e affermato che il clamore suscitato dall’assassinio del giovane italiano non sarebbe altro che un complotto internazionale contro l’Egitto.