«Non è facile fare previsioni su quanti egiziani scenderanno in strada il 25 aprile per protestare contro la cessione all’Arabia saudita delle isole del Mar Rosso Tiran e Sanafir. In ogni caso le autorità hanno già fatto arrestare preventivamente dalla polizia decine di persone nel centro (del Cairo), nei caffè, in strada, persone che ritengono potenziali manifestanti da fermare prima di lunedì. La tensione è molto alta». Così ieri il giornalista Jano Charbel, di Mada Masr, ci raccontava al telefono la situazione nelle strade della capitale egiziana. Raid e arresti sono avvenuti anche ad Alessandria e ad el Arish, città della penisola del Sinai roccaforte delle opposizioni. Agenzia Nova riferiva ieri che una camionetta blu e due minivan bianchi della polizia sono stati visti giovedì sera nei pressi del caffè “Ghazal” del Cairo, con a bordo un numero indefinito di attivisti, tra cui lo scrittore Bassem Sharaf, il giornalista dell’emittente televisiva Cbc Sameh Hanen e il reporter Mustafa Ali. Dopo il raid, ha aggiunto l’agenzia, gli agenti in borghese avrebbero iniziato ad arrestare altri giovani in modo apparentemente casuale nel centro della capitale.

«Si sono rifiutati di spiegare il motivo degli arresti quando l’avvocato e attivista Mahmud Belal ha chiesto delucidazioni», ha scritto l’artista teatrale Ali Qandil, presente nel caffè Ghazal quando la polizia ha fatto irruzione, sul suo account su Facebook. «Improvvisamente – ha aggiunto – un agente di polizia in borghese con la barba ha preso le nostre carte di identità e ha individuato Sharaf. Lo hanno trascinato su uno dei minibus bianchi».

La mossa del presidente-dittatore egiziano Abdel Fattah al Sisi di “restituire” a Riyadh le isolette di Tiran e Sanafir, all’ingresso del Golfo di Aqaba, come forma di ringraziamento alla monarchia saudita che investirà in Egitto altri miliardi di dollari, si è rivelata un boomerang per il regime. Gli egiziani, o gran parte di essi, hanno reagito con rabbia alla notizia della cessione di Tiran e Sanafir, isolette affidate, di fatto regalate, dai sauditi alla protezione del presidente Gamal Abdel Nasser negli anni Cinquanta e mai più reclamate e per le quali sono morti non pochi militari egiziani durante le guerre con Israele. Ora, con un colpo di spugna, al termine di negoziati con Riyadh di cui era all’oscuro tutto l’Egitto, al Sisi le ha consegnate a re Salman, colpendo in profondità i sentimenti del suo popolo.

«È presto per valutare l’impatto complessivo della decisione presa dal regime» dice Charbel «però si segnalano reazioni forti in tutti i settori della società egiziana, tra i manovali, gli operai, i professionisti, i commercianti, i contadini. Si è innescato qualcosa di importante che (il regime) non aveva previsto. Però è prematuro fare previsioni di possibili sviluppi. Anche perchè la repressione è già scattata ovunque». Charbel ieri ci diceva che il brutale assassinio di Giulio Regeni resta al centro dell’attenzione di molti egiziani, per la sua gravità e anche per il suo significato interno. «Durante il regime di Hosni Mubarak (il presidente costretto alle dimissioni dalla rivoluzione del 25 gennaio 2011,ndr) – ha spiegato il giornalista di Mada Masr – erano colpiti solo gli egiziani, gli stranieri non venivano toccati. Pertanto le terribili torture inflitte a Giulio e la sua uccisione hanno dato a tanti egiziani la conferma di un clima nel Paese persino più grave e pericoloso rispetto al passato (regime)».

Secondo il quotidiano al Shorouk due giorni fa al Sisi avrebbe incontrato il ministro dell’interno e suo fedelissimo, Magdy Abdel Ghaffar, per decidere un piano per vietare le proteste e le manifestazioni previste per il 25 aprile alle quali hanno aderito 14 partiti e movimenti politici egiziani con lo slogan «L’Egitto non è in vendita».