Sulla soglia della catastrofe perpetrata dal nazionalsocialismo tedesco, negli anni venti del Novecento l’ebraismo europeo diede contributi importantissimi al dibattito filosofico contemporaneo: in un breve lasso di tempo furono pubblicati La stella della redenzione di Franz Rosenzweig (nel 1921), Io e tu di Martin Buber (nel 1923), Il dramma barocco tedesco di Walter Benjamin (nel 1928), solo fermandoci a tre esempi celeberrimi: fu una sorta di età dell’oro della filosofia ebraica, espressione peraltro problematica e controversa, contestata da molti interpreti.

In questo ambiente, proprio a partire dagli anni venti compiva i primi passi Leo Strauss, che emigrato poi in Inghilterra e di seguito negli Stati Uniti, sarebbe divenuto uno dei massimi filosofi della politica contemporanea. Prima dei capolavori della maturità sulla scrittura reticente e sul recupero dell’antichità greca e ebraica, i suoi saggi giovanili ruotavano intorno agli studi su Spinoza: tre di questi testi sono stati da poco pubblicati per la prima volta in italiano da Mimesis, per la cura di Riccardo Caporali e la traduzione di Enrico Zoffoli con il titolo Il testamento di Spinoza (pp. 92, euro 12,00).

L’aspetto che balza subito agli occhi leggendo questi studi di Strauss è la polemica contro Hermann Cohen – la massima autorità degli studi ebraici primonovecenteschi, oltre che uno dei fondatori del neokantismo – che attaccava la scienza biblica di Spinoza accusandolo di mascherare il risentimento dietro a una pretesa scientificità dell’esegesi del testo sacro. Strauss difende l’ermeneutica spinoziana sia sul piano metodologico, cercando di far valere l’interpretazione storico-critica inaugurata da Mommsen («non è consentito appellarsi a motivi “egoistici” nella misura in cui risultano sufficienti i motivi “debiti”»), sia sul piano dei contenuti, mostrando come la concettualità dispiegata nel Trattato teologico-politico sia ovviamente discutibile, ma salda, logicamente coesa, per nulla peregrina o viziata da idiosincrasie estemporanee.

Tuttavia, in questi scritti di Strauss emergono anche altri elementi, che poi saranno sviluppati nella sua opera matura e che troveranno ampia eco anche al di fuori e indipendentemente dalla sua opera. Il problema dell’interpretazione testuale – a maggior ragione nell’ambito della religione del testo per antonomasia – non è un puro problema ermeneutico: diviene giocoforza un problema etico, e quindi assume una dimensione politica.

Lettura, comprensione e interpretazione non sono esercizio di comprensione fine a sé stesso, ma ci chiamano a esplicitare quel che pensiamo della realtà, di come è fatta, di quale ruolo occupiamo al suo interno, di quali principi guidano le nostre azioni. In gioco, sostiene Strauss, è il rapporto dell’uomo con la verità. Sulla scorta di Spinoza, la posizione di Strauss è chiarissima: «La verità può essere solo saputa, non creduta. L’uomo la conosce solo se la comprende – in caso contrario, si limita a dar voce a parole».