Nel 2015 c’è stato il centenario della pubblicazione di «Metapsicologia»: una raccolta di saggi di Freud, in cui sono definiti i concetti di «pulsione», «inconscio» e «lutto». Ha prodotto un cambiamento drammatico nel modo di concepire la nostra esistenza.

La pulsione e l’inconscio, nell’uso che ne fa Freud, sono concetti epistemologici che fondano un nuovo dominio di sapere e non oggetti di indagine scientifica diretta, fenomeni neurofisiologici di cui studiare sperimentalmente l’esistenza. Freud ha definito la pulsione (concetto limite tra il somatico e lo psichico) come rappresentante psichico degli stimoli corporei, la misura del lavoro che la psiche deve compiere, costretta dal suo legame con il corpo. Il concetto di pulsione ha reso indirettamente conoscibile (mediante l’osservazione dei suoi effetti) la forte spinta corporea che sottende la nostra relazione con il mondo. Sotto l’effetto della spinta, l’essere umano si estroverte, si apre al mondo, può dare senso e direzione alla sua esistenza solo in modo trasformativo.

L’idea dell’inconscio precede Freud e la sua esistenza è oggi riconosciuta dalle neuroscienze. Ogni rappresentazione della realtà avviene in due modi interconnessi: uno segue il principio di piacere e, ignorando il tempo e il principio della non contraddizione, non ha accesso alla coscienza; l’altro segue il principio di realtà e può diventare cosciente. La loro relazione è regolata dalla «rimozione»: le rappresentazioni coinvolte in conflitti psichici sono confinate nel modo di pensare inconscio, dove sono tollerate e, se cercano di diventare coscienti, sono respinte. Freud ha centrato il suo sguardo non direttamente sui processi mentali inconsci, in sé inconoscibili, ma sulle aeree, definite «propaggini», in cui essi penetrano nella coscienza. Ha reso così osservabili forme di pensiero miste, compatibili con la coscienza sul piano formale, ma incongrue sul piano del contenuto: fantasticare, lapsus, atti mancati, motti di spirito, sintomi e soprattutto sogni. Luoghi incerti di comunicazione tra l’inconscio e la coscienza, sedi di un equilibrio instabile tra la potenza destabilizzante del desiderio e le condizioni oggettive della sua soddisfazione. Misurano il conflitto tra la chiusura e l’apertura dell’essere alla vita.

Il conflitto tra due modi di relazionarsi con la realtà, ha il suo punto critico nel contrasto tra il soggetto e l’oggetto centrale del suo desiderio: un soggetto altro. Perché il contrasto non degeneri in lotta mortale, governata dal solo principio di piacere, è necessario perdere l’altro come oggetto della nostra volontà, riconoscerlo nella sua differenza.

Il lutto diventa il perno della nostra relazione con il mondo, il laboratorio della trasformazione che l’estroversione pulsionale (che muove il ritorno del rimosso) imprime alla nostra esistenza. Freud definisce il lutto come prolungamento psichico dell’esistenza dell’oggetto perduto, che consente il graduale distacco da esso, punto per punto. La differenza dell’oggetto –che causa la sua perdita- viene allora interiorizzata ed esso può essere investito in modo nuovo.

Quando, nell’incontro della domanda di piacere con la realtà, la chiusura del vivere ha la meglio sulla sua apertura, la relazione con altro è affidata all’identificazione narcisistica: la sua costituzione come protesi del soggetto. «L’ombra dell’oggetto cade sull’Io» e il conflitto con la diversità, può diventare perdita inesorabile che trascina il soggetto nella melanconia. Cercare di annullare il conflitto, appiattisce la relazione sull’inerzia, come testimoniano i nostri tempi incapaci di essere tristi.