Il 2014 è stato soprattutto l’«anno berlingueriano», per le molte iniziative che, a trent’anni dalla scomparsa, hanno chiamato a riflettere in modo finalmente nuovo sulla figura del comunista sardo, a lungo appiattita sull’immagine falsa del politico moderato e ormai «rottamato» dalla fine della cosiddetta «prima repubblica». Il 2014 è stato però anche l’anno del cinquantesimo anniversario della scomparsa di Palmiro Togliatti. E, pure in questo caso, diverse sono state le iniziative dedicate a uno dei maggiori esponenti sia del comunismo del Novecento, sia della ricostruzione della democrazia del nostro paese.

Nel mese di dicembre la Camera dei deputati ha ospitato la mostra organizzata dalla Fondazione Istituto Gramsci su Palmiro Togliatti un padre della Costituzione, di cui resta un bel catalogo con lo stesso titolo (pp. 207, euro 30), che offre molte delle immagini e dei testi della mostra riguardante gli anni di Togliatti che vanno dal ritorno in Italia nel marzo 1944 al varo di quella Costituzione che, insieme alla costruzione del «partito nuovo», rappresenta uno dei momenti più alti della sua vicenda politica.

Rivoluzionario costituente
Alcuni testi togliattiani sulla «svolta di Salerno» vengono riproposti ora da un volumetto curato e introdotto da Aldo Agosti – uno dei più accreditati studiosi di Togliatti – col titolo Il rinnovamento democratico del paese (Castelvecchi, pp. 134, euro 17,50).
Per comprendere il valore dell’apporto togliattiano alla redazione della Carta costituzionale è, invece, utile soprattutto la lettura di un libro apparso qualche mese fa per gli Editori Riuniti: Togliatti il rivoluzionario costituente (scritti di Paolo Ciofi, Gianni Ferrara e Gianpasquale Santomassimo, pp. 90, euro 12), nel quale si ricostruisce la sua attività durante i lavori per la nuova Costituzione. Come relatore sul tema dei «principi dei rapporti economico-sociali», egli propugnò il collegamento tra diritti e organizzazione economica. Il suo obiettivo era quello di riflettere e fare da sponda a «un processo rivoluzionario profondo», senza abbandonare il terreno della legalità democratica, ma muovendo il più possibile verso «una trasformazione economica socialista».

Togliatti fu tra gli artefici della parte più avanzata della Costituzione, quella che pone dei limiti al riconoscimento della proprietà privata e si propone la rimozione degli ostacoli economici e sociali che limitano la libertà e l’uguaglianza di ciascuno. Certo, si trattava di una «costituzione programmatica» e dunque la sua realizzazione era affidata alla lotta e allo sviluppo dei rapporti di forza. La storia successiva, caratterizzata dalla guerra fredda, ne ha impedito la piena attuazione. Ma essa resta un momento importante della storia del paese e del movimento dei lavoratori.

Pensare la politica
In merito alla più complessiva azione politica del leader comunista, a inizio anno era già apparsa una silloge dell’epistolario 1944 – 1964 a cura di Gianluca Fiocco e Maria Luisa Righi, intitolata La guerra di posizione in Italia (Einaudi, pp. 372, euro 24). Da poco è in libreria una nuova e molto più ampia raccolta antologica: La politica nel pensiero e nell’azione. Scritti e discorsi 1917-1964, a cura di Michele Ciliberto e Giuseppe Vacca, che firmano anche la introduzione generale al volume (Bompiani, pp. 2330, euro 55).

Gli scritti sono ordinati in sezioni tematiche, introdotte ciascuna dal rispettivo curatore: Pompeo D’Alessandro su Il fascismo in Italia e in Europa, lo stesso Vacca su La democrazia repubblicana, Giasi per L’eredità di Gramsci, Bidussa su Momenti della storia d’Italia, Pons per Il Pci e il comunismo internazionale tra politica e storia e infine Ciliberto per quel che riguarda la sezione L’intelligenza italiana (recensioni e corsivi). Una strutturazione molto attenta, che lascia intendere chiaramente la proposta di una interpretazione di Togliatti.

L’antologia esce nella collana Il pensiero occidentale di Giovanni Reale, accanto a testi di Aristotele e Platone, Kant e Hegel, Husserl e Gadamer, e tanti altri: già questo dà il senso, o conduce a interrogarsi sul senso, della rilevanza del comunismo italiano, che ha in Gramsci e Togliatti (e si potrebbe anche aggiungere in Enrico Berlinguer) dirigenti politici capaci di un pensiero non contingente, che mira a comprendere un’epoca, e che elabora e trasmette una concezione della politica e del mondo.
La tendenza dichiarata dei curatori è separare Togliatti da Gramsci. Una «distanza» affermata dallo stesso Vacca in un altro suo libro recente, intitolato Togliatti e Gramsci raffronti (Edizioni della Normale, pp. 270, euro 10). In realtà, fatta salva la ovvia autonomia di Togliatti, che merita di essere studiato anche a prescindere da Gramsci, moltissimi sono i fili di continuità e le connessioni tra i due pensatori e dirigenti comunisti. I motivi di discontinuità, che pure esistono, vanno considerati storicamente come interni a una tradizione politico-culturale abbastanza unitaria – quella del comunismo italiano –, che si sviluppa a fronte di fasi molto differenti, con cesure storiche rilevanti, soprattutto dopo la morte di Gramsci.

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Le parole e i testi
Ciliberto e Vacca affermano che hanno deciso di escludere l’epistolario, ancora da ordinare in modo esaustivo, e gli scritti parlamentari, in quanto già raccolti in volume. Ciò varrebbe però anche per gli scritti su Gramsci, invece riproposti massicciamente. Sono scritti già raccolti e ripubblicati di recente, e forse una diversa selezione sarebbe stata preferibile, allo scopo di inserire testi che risultano esclusi.

Ciò che resta sottorappresentato (par di capire volutamente), in questa antologia, è il Togliatti dirigente dell’Internazionale, a cui era dedicata la gran parte di cinque degli otto tomi delle Opere avviate negli anni Sessanta da Ernesto Ragionieri (non «opere complete», beninteso, soprattutto per quanto concerne gli anni 1944-1964, anche perché molte sillogi tematiche erano allora disponibili). Si avverte la mancanza – in una scelta tanto ampia come quella di Ciliberto e Vacca – di alcuni scritti ad esempio presenti nella bella antologia curata da Santomassimo nel 1974 col titolo di Opere scelte, che pure contava oltre un migliaio di pagine in meno rispetto all’attuale: mi riferisco alla celebre lettera di risposta a Gramsci del 1926; all’intervento alla Commissione italiana al X Plenum dell’Internazionale del 1929, in cui Togliatti fece mettere a verbale che il Pci accettava la «svolta» per disciplina (e «stato di necessità»), non per convinzione; alla relazione al VII Congresso del Comintern del 1935, che varava la nuova politica dei Fronti popolari; ai discorsi pronunciati da Radio Mosca nel 1941-1943, che anticipano la svolta di Salerno, nonostante alcune contraddizioni dovute al dibattito ancora in atto ai vertici dell’Urss e dell’Internazionale.

Altre assenze concernenti gli anni del dopoguerra sono più comprensibili, anche se si tratta di articoli che avrebbero arricchito il volume: è il caso del discorso del 1954 Per un accordo tra comunisti e cattolici per salvare la civiltà umana, che suscitò all’epoca molti echi, anche critici; o del rapporto al Comitato centrale del giugno 1956; o la polemica con Nenni su socialismo e democrazia di inizio anni Sessanta. In compenso, molti altri testi importanti vengono forniti al lettore per la prima volta in un unico volume: oltre alle molte recensioni e scritti polemici sulla «intelligenza italiana» e sulla «battaglia delle idee» dall’Ordine Nuovo agli anni Sessanta, moltissimi scritti sul fascismo degli anni Venti e Trenta, e poi alcuni scritti culturali tra i più noti e importanti di Togliatti: dal discorso su Giolitti agli articoli in morte di De Gasperi, dal saggio sulla formazione del gruppo dirigente del Pci a quello sulle classi popolari nel Risorgimento.
L’impressione è, a tratti, di un privilegiamento di tali scritti di carattere culturale su quelli direttamente politici. Il che ovviamente non toglie importanza a questa benemerita immissione di testi togliattiani nelle librerie, a disposizione del lettore di oggi che non voglia credere che la comunicazione debba del tutto sostituire la elaborazione di una cultura politica.

Il rapporto con gli intellettuali
La dimensione culturale è centrale anche in un altro libro fresco di stampa, quello di Albertina Vittoria su Togliatti e gli intellettuali. La politica culturale dei comunisti italiani (1944-1964) (Carocci, pp. 345, euro 36). Il titolo è simile a quello della prima edizione (Editori Riuniti, 1992), ma cambia il sottotitolo, che allora era Storia dell’Istituto Gramsci negli anni Cinquanta e Sessanta, a indicare una riscrittura del volume intorno a un asse più ampio, che non riguarda più solo l’Istituto Gramsci, e neanche Togliatti, ma tutta la politica culturale del partito.

Si susseguono nelle pagine ben scritte e documentatissime del volume (basato in gran parte su carte d’archivio) gli episodi che hanno fatto la storia del rapporto tra intellettuali e Partito comunista nel dopoguerra, da riviste celebri come Rinascita, Società e Il Politecnico (ma anche Vie nuove e Il calendario del popolo) all’«operazione Gramsci», dalle discussioni su Labriola o Metello o «politica e cultura» alla fondazione dell’Istituto Gramsci e della Biblioteca-Istituto e poi casa editrice Feltrinelli, dal terremoto del ’56 all’avvio, dato da Togliatti stesso, al rinnovamento della cultura politica dei comunisti italiani, con la liberazione della storiografia di partito dall’agiografia precedente e con l’avvio della nuova edizione critica dei Quaderni gramsciani. La Commissione culturale del Pci, dunque, è con Togliatti al centro del libro, che restituisce – con le tante differenze interne al mondo comunista – un modo di fare politica attraverso la cultura, e viceversa, di cui oggi si è persa traccia.