Un insolito film catalano, Stella cadente di Luis Miñarro, non una commedia di costume spagnola, né il pathos di Almodovar, ma una folgorante presenza su pochi schermi scelti, dopo essere stato presentato al Torino Film Festival e al festival del cinema spagnolo a Roma e Milano. Il regista lo definisce alla fine dei titoli di coda «un divertissement» e in parte lo è, per il suo andamento a tratti spiazzante nel serio, profondo contesto storico in cui è ambientato. Si parla del brevissimo periodo (1871-1873) in cui salì sul trono di Spagna un Savoia, Amedeo d’Aosta, costretto ad abdicare perché privato di ogni potere, lui liberale e progressista («anch’io sono repubblicano» si definisce tra l’incredulità della corte) considerato solo un accessorio inevitabile, in un momento di grandi turbolenze nel paese. Il film potrebbe ricordare Syberberg per l’anomala dimensionalità delle scene che allontanano dal genere storico, ma così come Syberberg trova l’aggancio emotivo nella lirica Miñarro utilizza il tocco pop, la deriva erotica per scompaginare la solitudine di un regnante senza corte.

Arrivato al maniero isolato che indica tutte le incognite del nuovo potere (un Castel Del Monte trasfigurato) non parla neanche catalano, ha bisogno di un interprete, unico compagno il suo assistente, quasi una funzione di doppio a cui consegnare ogni sentimentalismo, un doppio fanciullesco, la simmetria tra la compostezza del potere e l’anarchia del sottoposto a cui si aggiunge la presenza di un paggio per gli eccessi erotici.

La solitudine del capo è qui espressa in tutte le sue caratteristiche più estreme con il divieto di comparire in pubblico per non fomentare, gli dicono, le rivolte di strada. Provenendo dal Piemonte, lui principe illuminato saprebbe bene come trasformare il paese. A cominciare dalla mancanza di disciplina («a che ora vi alzate» chiede con rigore sabaudo ai ministri). Sembra immerso nel sonno secolare del regnante diventato tale per diritto divino. In un’epoca già tarda per i principi illuminati, lui si trova in un paese arretrato come la Spagna a cui vorrebbe per la prima volta dimostrare cosa sia la monarchia costituzionale avanzata «che grantisca progresso e giustizia per tutti». Ma già al solo sentire l’espressione «alfabetizzazione per tutti», se non vorrà fare la fine di Massimiliano in Messico, gli suggeriscono i ministri, sarà bene che rinunci al trono.

Un lavoro inutile, visto che gli è proibita ogni iniziativa, non può che vagare nei saloni ammirando nuvole e cristalli. Ed anche fuggevole sarà la presenza della moglie Maria Vittoria dal Pozzo (che istituì borse di studio per i meritevoli subito cancellate dopo l’abdicazione), gioiosa esplosione scenica, con l’improvvisa, inattesa Elle était si jolie di Alain Barrière. Gli rimprovererà infine la mancanza di iniziativa e ben presto farà ritorno in Piemonte. Con il piglio dell’appassionato di cinema e storia qui Miñarro scioglie quel mistero ancora presente in vari paesi europei della supremazia simbolica della monarchia con un fuoricampo che si espande come la scia di una stella cadente.

Luis Miñarro ha prodotto (o partecipato alla produzione) di più di 30 film che non sono certo passati inosservati come Lo zio Boonmee che si ricorda delle sue vite precedenti di Apichatpong Weerasethakul, Honor de cavallería di Albert Serra, Sebastiano di Fabrizio Ferraro, i film argentini Mediares (Innamorarsi a Buenos Aires) di Gustavo Taretto e Liverpool di Lisandro Alonso. Stella cadente è distribuito da Boudu-Passepartout in collaborazione con il Festival del Cine Español ed EXIT Med!a.