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Gëzim Hajdari

Il poeta Gëzim Hajdari si esprime in due lingue: albanese e italiano. Giornalista in Albania Hajdari, in Italia è stato zappatore, manovale, tipografo, e ora è considerato uno dei maggiori poeti albanesi contemporanei. Svolge un’intensa attività intorno alla poesia, sia come autore in prima persona che come promotore impegnato nella sua diffusione. È anche direttore della collana Erranze per Ensemble editore, il cui tratto fondante è il taglio che include voci d’esilio, lontane dal paese d’origine e dal nativo linguaggio. Delta del tuo fiume (pp.170, euro 15) presenta il testo albanese e, a fronte, la versione italiana; in entrambe le lingue risuona fortissima la dimensione orale. Illuminante la nota introduttiva di Giorgio Linguaglossa: «Al pari di un aedo antico Hajdari parla ’la lingua degli antenati, lo kiswahili’, si mescola con altri erranti di tutte le lingue e di tutti i paesi, costretto a inseguire il proprio destino come un Fato pagano…».

In questo Delta del tuo fiume, il poeta intreccia la sua parola con altri idiomi, nella convinzione che esista un linguaggio universale che solo può ospitare le parole dell’erranza. Troviamo tra le pagine immagini di città, di molti paesi: l’Africa, soprattutto, e il sud-est asiatico, e le sabbie lunari del Golfo Persico. La riva del Pacifico, la notte equatoriale e il suo tam-tam. L’attesa al confine con la Cina, davanti alle guardie rosse… Troviamo l’aeroporto di Casablanca dove atterra Dunia che ha studiato a Parigi, s’è innamorata in Italia, e ora è fidanzata con un olandese. Troviamo Roma: «patria degli esuli, città in fuga verso la leggenda». La parola scritta in queste poesie sta come un’orma, un’impronta della voce in noi, come se a parlare fosse la voce degli avi, o il verso musicale di qualche sacro animale su un verde altopiano. Come eco che viene da un’antica Delfi, mentre qui, in questo momento, in questo mondo, le genti vanno in un cammino assurdo e tragico: «fuggiamo di notte / inseguiti dalla nostalgia / e dalle preghiere misericordiose dei beduini».

Da tempo immemorabile gli esseri umani innalzano un inno nella fedeltà alla propria lingua, nonostante la storia, nonostante tutto: «All’ombra delle palme / le donne piangono a nenia, / i villaggi Tuareg stanno scomparendo». Oralità e scrittura si fondono nel punto più dolente del canto. C’è un verso in cui Gëzim Hajdari dice che «fare il contadino della poesia vuol dire parlare coi sassi». Ottimo esercizio, zenit della comunicazione.

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Kamau Brathwaite

Come direttore della collana Erranze, Gëzim Hajdari inserisce tra i titoli Diritti di passaggio, la raccolta poetica di Kamau Brathwaite (prima edizione italiana a cura di Andrea Gazzoni, a cui si deve anche la traduzione e l’ottima nota). Kamau Brathwaite è voce consacrata della letteratura caraibica in lingua inglese. È considerato un maestro, un poeta, uno storico, un archivio vivente. Un critico, un editore, un organizzatore culturale. Tra i padri fondatori della cultura postcoloniale con Derek Walcott, George Lamming e Wilson Harris, Brathwaite, nato nel ’30, ha segnato oltre mezzo secolo di letteratura caraibica in lingua inglese, ma ben oltre la lingua inglese.

Per le sue prese di posizione passerà attraverso quello che chiama «il tempo del sale», cioè il tempo d’un sabotaggio per cui lascerà il suo paese per approdare negli Stati Uniti. Anche lì sarà isolato in una sorta di linciaggio culturale e deciderà di andarsene. Dal cuore della cultura caraibica, la sua poesia si radica nella voce e nell’oralità, nei modi del nation language, l’inglese parlato e creolizzato dalle genti delle isole. Brathwaite crea partiture sonore e visive, sequenze di versi in cui si rintracciano i momenti cruciali della diaspora africana nel Nuovo Mondo e in Europa, dal Middle Passage degli schiavi alle migrazioni del secondo dopoguerra. La raccolta comprende quattro sezioni: «Canto di lavoro e blues», «I negri», «Isole ed esili», «Il ritorno».

Il libro si apre con un Preludio sull’immagine di un tamburo e della fiamma che arde lì accanto come ultimo pericolo ma anche come ultima difesa verso un Nuovo Mondo che viene. New World A-Comin’ è un poema omaggio a Duke Ellington e fa i conti con la memoria e la Storia: canta, l’incontro tra africani e europei, la riduzione in schiavitù e il trasporto verso le Americhe: «noi in fila giù lungo il sentiero, / uniti dal tintinnio». Schiavi, gente in cammino. Con Gli emigranti, The Emigrants, Brathwaite ripercorre l’odissea degli afro-caraibici che dopo la Seconda Guerra Mondiale emigravano dalle colonie.

I versi, sia nell’inglese creolizzato che nella versione italiana, risuonano in sequenze ritmiche modulate sulla musica afro-americana e afrocaraibica (il blues, reggae e ska, il jazz) e a tratti cantilenanti come una nenia arcaica. Diritti di passaggio, il titolo è da intendersi alla lettera. Qui si ritrova una dimensione della poesia a cui tutta l’Europa prima o poi dovrà prestare orecchio. «La regola è quella del capo / chi lavora / chi tira / la fune, chi squarcia / la terra paziente».