Trattandosi di Matteo Renzi, ragazzo di play-station cresciuto a pane e Star Wars, e con spiccate fantasie imperiali, non stupisce che sia un “governo dei cloni”, quello definito nella girandola di incontri di ieri e di venerdì a palazzo Chigi, con rara mancanza di senso dell’opportunità istituzionale.

 

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Il futuro premier, Paolo Gentiloni, è stato scelto proprio perché considerato il più simile a un clone del dimissionario (che per la verità sembra non sentirsi affatto tale). È probabile che, una volta a palazzo Chigi, le cose cambino. Ma di certo la scelta di don Matteo è stata dettata dalla convinzione di poter muover il suo successore come una specie di marionetta. Resta a palazzo Chigi il sottosegretario Luca Lotti, che clone di Renzi lo è da sempre. Manterrà il potere di nomina e forse anche la delega ai servizi segreti. Meno certa la presenza della ministra travolta dalle urne, Maria Elena Boschi. Mattarella aveva detto chiaramente che una ministra per le Riforme senza riforme non si poteva neppure proporre. Poco male: restano le Pari opportunità e i Rapporti con il Parlamento, ma a recalcitrare adesso è la regina: converrà accettare un ministero di seconda fila dopo aver regnato?

La principale casella vacante è quella degli Esteri. Per un po’ palazzo Chigi ha puntato su Piero Fassino, ma l’ex sindaco di Torino è troppo vicino al nemico-amico Dario Franceschini. Per depotenziare un esecutivo che prima va a casa meglio è Renzi propone dunque la segretaria generale della Farnesina, Elena Belloni: uno schiaffo a Mattarella e al governo «nel pieno delle sue funzioni». Ove mai l’idea dovesse rivelarsi azzardata sarebbe pronto un altro clone, il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, ma Renzi è tanto entusiasta della sua scelta che difficilmente ci ripenserà.

Resterà al suo posto anche Marianna Madia, come ricompensa per l’ottimo lavoro svolto con la riforma della Pubblica amministrazione affondata dalla Corte costituzionale. La brillante responsabile della Sanità Beatrice Lorenzin dovrà invece il mantenimento del suo dicastero a sant’Angelino Alfano. Renzi la avrebbe volentieri sostituita. Angelino ha minacciato di non votare la fiducia. Diparte invece la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini, che in tre anni è riuscita a sollevare contro il governo l’intero mondo della scuola: discenti, docenti, personale vario e un bel po’ di genitori. Prenderà il suo posto un renziano doc, o clone che dir si voglia. Di chi si tratti è incerto, probabilmente si tratterà di Andrea Marcucci, già ventriloquo di Renzi a palazzo Madama. Più clone di lui impossibile trovarne.

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Lascia anche il ministro Giuliano Poletti, che a sua volta vanta insuccessi storici come quel Jobs Act che non ha aiutato l’economia, è servito a poco in termini di posti di lavoro e in compenso ha falcidiato diritti peggio di un’alluvione. Non è per questo che lascia il ministero del Lavoro, figurarsi, ma per scelta personale. Lo sostituirà Teresa Bellanova, attualmente viceministra dello Sviluppo economico, che viene dalla Cgil e dunque la si può smerciare facilmente come apertura alla sinistra ma in realtà è renzianissima.

Il listone dei sottosegretari non è ancora stato definito: si può però scommettere che la nuova forza di maggioranza, la verdiniana Ala, saprà farsi valere. Il governo è quasi pronto. La sua composizione dimostra che a Renzi la mazzata del 4 dicembre non ha insegnato proprio niente.