Samarcanda: una parola che sembra condensare in sé tutto il fascino dell’Oriente, città simbolo della via della seta e dei suoi fasti perduti. Tutti la conoscono, tutti ne sono ammaliati, anche senza averla mai vista. Eppure, solo per pochi questo nome così evocativo corrisponde a precise nozioni storiche o geografiche. Cuore di quell’Asia centrale rimasta al di fuori dalla narrazione dei media anche dopo il naufragio dell’Urss di cui era parte, la città uzbeka è protagonista di Samarcanda, il nuovo libro dello storico Franco Cardini (Il Mulino, pp. 325, euro 11,99). Un volume che ha il pregio di narrare in modo godibile la straordinaria storia di questa città, in un racconto che intreccia memorie storiche, letterarie e politiche.

UN VIAGGIO che parte dall’epoca antica – «Samarcanda è prossima all’estrema fra le Alessandrie fondate dal re macedone» – per arrivare al grande Tamerlano, che la scelse come sua capitale reinventandola, e dove ancor oggi si trova il suo mausoleo. Una stagione, quella dell’impero del conquistatore turco-mongolo, che portò Samarcanda per una breve quanto fulgida stagione ad essere al centro di uno sterminato impero, se non addirittura del mondo. E poi il Grande gioco, quando la Russia zarista e la corona britannica – fra spie, complotti e politiche coloniali – si contendevano il dominio sull’Asia centrale; fino all’epoca sovietica che l’ha inscritta, nel quadro delle nuove nazioni voluto da Stalin, all’interno della Repubblica socialista dell’Uzbekistan, mettendo da parte – in modo forse irreparabile – la componente culturale persiana fino ad allora egemone a scapito di quella turca. E giù fino a un presente carico di sfide, dove il fondamentalismo islamico si confronta – riuscendone al momento sconfitto – con la vecchia nomenclatura sovietica simboleggia dal presidente Islam Karimov, morto nel settembre di quest’anno.

Unendo le conoscenze dello storico alla passione del viaggiatore, Cardini offre in questo volume un affresco personale, a tratti intimo, di questa città antica e insieme nuovissima.

Una Samarcanda, quella dello storico fiorentino, che rappresenta un enigma da interrogare ad ogni nuovo viaggio e lettura, ma anche un destino. E il tema della morte – come un sottile filo rosso – affiora più volte in questo volume, in particolare in corrispondenza delle pagine dedicate a quello che viene definito «uno dei più terribili protagonisti delle vicende millenarie del genere umano»: Timur lo zoppo, conosciuto in Occidente come Tamerlano, resa fonetica dell’espressione persiana (Timur-i lang) che allude, appunto, a questo suo difetto fisico. Una figura, non a caso, posta al centro del volume, di cui Cardini parla con un misto di rispetto, paura e, soprattutto, con una sconfinata fascinazione.

ASSAI PREGEVOLE anche la parte dedicata alla Samarcanda sovietica, in cui lo storico coglie l’occasione per una riflessione sul significato di quell’esperienza in questa parte assai poco studiata dell’Urss, quella meno conosciuta e più trascurata. Un’esperienza che pur tra mille contraddizioni – non è inutile dirlo – fu secondo Cardini per molti aspetti positiva. E questo nonostante la violenza e la corruzione che, oggi come ieri, spadroneggiano in queste terre.

Più problematico, anche se non privo di una certa empatia nei confronti della leadership uzbeka, il giudizio sulla transizione post-sovietica. Perché, nonostante le contraddizioni e le ferite rintracciabili sul corpo di questa città, Samarcanda – eterna fenice – non ha perso nulla della sua magia.