Egregio Ministro della Giustizia Andrea Orlando,

mi chiamo Andrea Haas e sono la moglie di Henrique Pizzolato. Abbiamo avuto modo di incontrarci durante un suo passaggio a Sassuolo, la scorsa estate. Mio marito, su Sua decisione, sta per essere estradato in un paese con un sistema carcerario che le stesse autorità giudiziarie che lo amministrano definiscono al collasso e che, come Lei sa, sottopone i detenuti a condizioni disumane, lesive della loro dignità e dei loro diritti fondamentali.

Ma per la prima volta, da quando ormai un anno fa ho iniziato in tutti i modi a tentare di fare breccia nel silenzio e nella disinformazione che avvolge il calvario giudiziario di mio marito, ho deciso di non parlare di lui, ma di me, della paura che nutro per la mia sicurezza.

Nella sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Bologna (sent. n. 11217/2014), che ha negato l’estradizione di Henrique, si legge: «la grave situazione di illegalità non controllabile, non consente di ritenere attualmente tangibile l’efficacia delle intraprese iniziative governative (del Brasile): le violenze subite dai detenuti e – dalle loro famiglie – non può dirsi mutata e permane il rischio che le condizione di vita negli istituti penitenziari siano irrispettose dei diritti fondamentali della persona».
Le prigioni brasiliane non sono un pericolo solo per le persone che vi soggiornano, ma anche per i loro cari, sottoposti anch’essi a vessazioni, estorsioni e a volte violenze vere e proprie.
Perdoni la crudezza di quanto le sto per scrivere, ma nel Distretto Federale, lo «stato» in cui si trova il carcere di Papuda, a cui il Governo brasiliano e il Suo Governo hanno destinato mio marito, è ancora consentita la perquisizione intima – che consiste nell’obbligo per le visitatrici (incluse donne anziane, disabili e ragazze) di spogliarsi, chinarsi e mostrare l’ano e la vagina affinché le guardie carcerarie possano ispezionarli per verificare se nascondono oggetti illeciti.

Se non bastasse il senso comune per considerare degradante e criminale questa pratica, il rappresentante dell’Onu, Juan Mendez, così come molte associazioni dei diritti umani e gli organismi rappresentativi della chiesa cattolica in Brasile si sono espressi recentemente contro questa tortura legalizzata. Può farsene un’idea dalle fonti che cito in calce.
Nonostante la palese violazione dei principi costituzionali che trattano della dignità dell’essere umano, i politici brasiliani non hanno finora approvato alcuna legge federale che vieti la perquisizione intima. Il Ministro della Giustizia e soprattutto il Pubblico Ministero brasiliani non fanno nulla!

Mi angoscia sapere che i giudici (a eccezione della Corte d’Appello di Bologna) e il Governo italiani ritengano che le garanzie di rispetto dei diritti umani fornite da queste «autorità» per giustificare l’estradizione di mio marito siano considerate affidabili.

Non posso trattenermi dall’affermare che l’Italia, accettando le «prove» del Governo del Brasile, sta supportando le autorità brasiliane nella loro connivente cecità di fronte al caos in cui versa il sistema penitenziario brasiliano. Lo dimostra la recente dichiarazione del Segretario della Cooperazione Internazionale della Procura Generale, Vladimir Aras: «La decisione italiana è molto importante perché dimostra che il Brasile ha degli istituti detentivi – come quelli del Distretto Federale e di Santa Catarina – che possono ospitare qualsiasi persona per l’esecuzione penale nel rispetto dei loro diritti fondamentali».

Come può il Pubblico Ministero rilasciare tali dichiarazioni pur sapendo che nel Distretto Federale il carcere di Papuda ha un tasso di affollamento del 215%, un tasso di morti violente di 13,6 (x 10mila detenuti) e che vi è un agente penitenziario per ogni 44 detenuti?

Mi angoscia sapere che i tribunali e i governanti italiani considerano accettabile l’«offerta» della cosiddetta “Ala dei vulnerabili”, perché in primo luogo è stata creata strumentalmente per ottenere l’estradizione di Henrique, secondariamente perchè si tratta di un’”isola” (10 celle!) all’interno di un penitenziario in cui si trovano 10.409 detenuti in lizza per 4.848 posti letto. Una chiara dimostrazione che soltanto con la creazione di un’eccezione alla legge, una violazione dello spirito democratico della Costituzione brasiliana come di quella italiana, le autorità brasiliane possono ottenere l’estradizione di Pizzolato, come se già non bastasse il processo «eccezionale» realizzato in Brasile in cui i diritti di difesa di Henrique sono stati palesemente violati, compreso il diritto di presentare appello.

Sappia, sig. Ministro, che le conseguenze di tutti gli errori e le violazione dei diritti di Henrique raggiungeranno in qualche misura anche me.
«Torture legalizzate» come la perquisizione intima, a cui potrei essere anch’io sottoposta, non sono certo impedite dalla presenza di un’ala «speciale».
Dal momento che in ultimo la decisione dell’estradizione è una decisione politica, ovvero una SUA DECISIONE, spero che anche alla luce di queste mie «angosce» Lei possa riflettere bene sulle conseguenze che l’estradizione di mio marito Henrique Pizzolato avrà sulle nostre vite.
Grazie per l’ascolto.

* L’autrice è la moglie di Henrique Pizzolato