Nel folto gruppo di bluestockings, le acerbe femministe del Settecento inglese, certamente Lady Mary Wortley Montagu spicca per lo spirito ardito e la felice spontaneità con cui scrisse lettere che serbano l’affetto della voce e l’acutezza dello sguardo. Un amico che la incontrò a Roma nel 1740, la definì una splendente cometa, «tutta irregolare, sempre vagante; la più saggia, la più imprudente; la più amabile, la più sgradevole; la donna più buona al mondo, la più crudele ». Lei si prova «in tutto, ma mai a lungo», è l’accusa del poeta più famoso in quegli anni, Alexander Pope, gobbo, figlio d’un mercante cattolico. Dopo un intenso rapporto intellettuale seguì un improvviso distacco e una lunga guerriglia in versi micidiali: Pope vs Lady Mary e il suo alleato Lord Hervey, quell’«oggetto anfibio», che lasciò sul campo gli stracci sporchi della sua esistenza. Ma il poeta offeso aveva sbagliato sulla sua nemica, perché almeno una cosa lei la fece, e a lungo: scrisse sempre, e non solo lettere, con lo scopo di agganciare, convincere, sviare, ma anche ingraziarsi amici e amanti, e magari superare Madame de Sévigné nell’arte epistolare.
Le sue lettere, come quelle di Lord Chesterfield e di Horace Walpole – solo gli aristocratici potevano scrivere di viaggi, mondanità, buone letture – erano nobilitate dallo stile di quel secolo, che – come scrisse Strachey – conferiva grazia alla boria, significato alla frivolezza e forma al vuoto». Gli abissi del cuore umano, problemi di soldi, segreti sentimentali o politici, malattie, tutto era detto a chi conoscesse già le inflessioni di quella voce e di quella mano. Ma non a noi.

Aveva affilato gli strumenti del flectere, persuadendo l’esitante Edward Wortley a rapirla dalla casa del padre che, dopo il matrimonio nel 1710, la diseredò. Nel periodo del suo maggiore fulgore mondano, trascorso a Twickenham e a Londra, aveva scritto varie composizioni poetiche e stretto amicizia con gli intellettuali più in vista: Steele, Addison, l’abbé Conti, e con quello che doveva divenire il suo più aspro nemico, Alexander Pope. Superò anche l’attacco di vaiolo, di cui suo fratello morì: ne uscì senza ciglia, il volto butterato che avrebbe poi nascosto sotto uno strato di biacca. Da quella umiliazione si riscattò, facendo conoscere in Inghilterra la pratica turca della vaccinazione. Quando il marito divenne ambasciatore a Costantinopoli, le si offrì la meravigliosa occasione di conoscere la vita segreta di quel mondo femminile e la pratica della vaccinazione. Ne scrisse nelle famose Turkish Letters, lette ad alta voce nei salotti londinesi, forse corrette da più mani. Oggi sono considerate il brillante esordio del gusto settecentesco per l’esotismo, le turqueries, l’affascinante ancora velato volto dell’Oriente.

Il secondo evento che modificò la sua vita, fu l’improvviso amour fou per il ventiquattrenne Francesco Algarotti, di passaggio a Londra per scrivere il suo Newtonismo per le Dame. Lo perseguitò per tutta Europa con sgrammaticate letterine scritte in italiano, francese e inglese, credendo ad appuntamenti a cui lui mai si presentò. A Lord Hervey chiedeva notizie del bel «cigno di Mantova», e questi confidava al giovane che si era involato presso un nuovo amico e protettore, il principe Federico di Prussia, che lettere di lady Mary si susseguivano una dopo l’altra come oche. Il matrimonio era fallito, i due figli lontani, Lady Mary aveva cinquantotto anni, e con la sua abituale spavalderia partì per l’avventura italiana che durò circa quattordici anni. Masolino d’Amico ha riportato in italiano la velocità, la misura, la vigilata grazia delle tante lettere che Lady Mary scrisse alla figlia, Lady Bute, dal dicembre 1747 fino alla vigilia del suo ritorno in Inghilterra, il 21 agosto 1761, forse consapevole d’essere gravemente malata.

Cara bambina Lettere dall’Italia alla figlia (Adelphi, pp. 312, euro 16,00) è accompagnato da una lunga e informatissima introduzione di d’Amico che getta nuova luce sulla vicenda italiana, e prepara il lettore a quel cambiamento della società inglese che Lady Mary non vedrà. In Inghilterra la rivoluzione industriale è iniziata. Il marito, divenuto lord Montagu, si arricchisce con la sue miniere di carbone, il genero lord Bute è a capo di un soporifero governo. Intanto Lady Mary vive nella sua Arcadia personale, in campagna vicino Brescia, gioca a whist tutte le sere con certi vecchi preti, impara a cavalcare come le amiche italiane, ossia alla maniera maschile, meno pericolosa. A carnevale riceve la visita di signore in maschera, accompagnate da violini e torce; a casa sua è stato montato un teatro. «Lo spettacolo è stato sorprendente… gli italiani hanno un talento per la commedia». «Il boschetto ha un tappeto di viole e fragole, è abitato da un popolazione di usignoli». «Al momento ho 200 polli, e poi tacchini, oche, anatre e pavoni». «Non ci sono vecchi in questo Paese, né in abito né in galanteria».
A Lovere va all’opera e vede con sorpresa gentiluomini del pubblico che salgono in scena a cantare. Gli italiani altolocati hanno strane regole matrimoniali, e ancor più stravaganti maniere di divorziare. Il pretesto è l’impotenza o l’incesto con la propria suocera, per cui è annullato il matrimonio, ma i figli restano legittimi. La vecchia signora non diviene oggetto di scandalo perché nessuno crede che sia vero.

La bellezza è l’unico criterio per costruire una casa o educare una figlia. Legge molto: Congreve, l’amico Smollet, Fielding le piace, sulla Clarissa di Richardson ha pianto, Pamela le è insopportabile. Il sentimentalismo borghese e l’avanzata sociale delle Cenerentole disgusta la vecchia aristocratica. Ma un’ombra odiosa è calata sul sogno pastorale. Quella del giovane conte Ugolino Palazzi che l’abbindolò in vari modi, le sottrasse danaro, le rubò il cofanetto dei gioielli, la tenne per anni sotto il suo controllo. Le lettere parlavano d’altro. Riuscì a liberarsi di lui con una vera e propria fuga a Venezia. L’intera storia fu dettata da Lady Mary al suo segretario italiano, il dottor Bartolomeo Mora, forse in vista di un’azione legale contro Palazzi, che comunque nel 1760, insieme ai suoi tre fratelli minori, «gente malvagia e facinorosa», fu condannato all’esilio dal Consiglio dei Dieci. La dolorosa confessione contenuta nel memoriale italiano – di cui esiste copia al Balliol di Oxford e probabilmente in qualche archivio veneto – è stata pubblicata in inglese come il primo «romance» ambientato in Italia, in anticipo di quasi mezzo secolo sulla grande inventrice del genere, Ann Radcliffe, e i suoi tenebrosi, erotici italiani. Purtroppo la storia era vera, ma forse l’antica giocatrice d’azzardo avrebbe acconsentito.