Gentile direttrice,
Marco Bersani nel suo articolo «CETA e TTIP contro i servizi», pubblicato il 31 ottobre scorso, sembra indicare una volontà dell’Europa di aprire i servizi pubblici agli investimenti privati esteri, attraverso gli accordi di libero scambio. Così non è. Principio fondamentale delle negoziazioni condotte dall’UE in materia è che il livello di liberalizzazione offerto nell’ambito degli accordi commerciali europei deriva dal grado di apertura già consentito a livello nazionale dagli stati membri.

Le liste degli impegni italiani ed europei nel CETA, nel TiSA e nel TTIP riprendono, infatti, quanto già stabilito nell’accordo generale sul commercio di servizi del WTO (GATS), alla luce delle evoluzioni normative che dagli anni ’90 hanno portato nel nostro Paese le privatizzazioni e le liberalizzazioni in alcuni settori.

In sostanza, i trattati internazionali non possono per definizione essere strumento di liberalizzazione maggiore rispetto a quella già prevista all’interno della legislazione nazionale.

Lista positiva e lista negativa rappresentano due diverse metodologie di apertura che non intaccano questo principio. La differenza sostanziale sta nella dinamica di aggiornamento dei contenuti delle intese.

Con la lista positiva una maggiore liberalizzazione interna – avvenuta successivamente alla conclusione di un trattato – non viene automaticamente riportata nell’accordo stesso. L’approccio a lista negativa è considerato più trasparente, dal momento che tutte le riserve in tutti i settori sono indicate ed è più dinamico poiché permette di aggiornare gli impegni in modo automatico. Una lista negativa, peraltro, può essere ridotta tramite l’esclusione di alcuni settori o l’inserimento di ampie riserve. Il limite è sempre quello della nostra legislazione interna: l’uso del metodo della lista negativa non può in alcun modo scardinarla.

Quanto ai servizi pubblici essenziali, essi sono esclusi da ogni processo di liberalizzazione conseguente a un accordo di libero scambio. Nel caso del TTIP, oltre allo specifico paragrafo contenuto nel mandato, è bene ricordare la dichiarazione formale dei due negoziatori dello scorso marzo che ribadisce come nel trattato «la definizione del giusto equilibrio tra servizi pubblici e privati è lasciata alla discrezione di ciascun governo».
Inoltre, i servizi pubblici – compresi quelli che rientrano nell’ambito dell’autorità di governo – e che sono forniti senza fini commerciali o non in concorrenza con privati, non rientrano nell’ambito di applicazione dei trattati di cui stiamo parlando. In ogni caso, settori come salute e istruzione non sono aperti per definizione a tutti, ma possono essere soggetti a monopoli pubblici, a regime di concessione o a diritti esclusivi dati a privati.
In conclusione, nessuna clausola inserita in un accordo di libero scambio può obbligare uno stato membro dell’UE ad aprire ai privati o comunque a liberalizzare il settore dei servizi pubblici.

Carlo Calenda, Viceministro allo Sviluppo Economico

La risposta di Marco Bersani

«(..) L’opposizione spesso è solo ideologica, guidata da un pregiudizio anticapitalista ed antiamericano» (intervista al Financial Times, 22 novembre 2014). «Smettiamola di discutere tra di noi, tra Paesi europei, e andare dietro a gruppuscoli che si oppongono al Ttip per motivi puramente ideologici» (Consiglio Affari Esteri-Commercio, 7 maggio 2015). Così, solo fino a qualche mese fa, il viceministro Calenda liquidava chi si opponeva al TTIP.

Prendiamo atto di come la crescita della mobilitazione sociale gli abbia fatto cambiare stile ed entrare nel merito.

Ma anche qui, più che rassicurazioni, troviamo conferme. Dire infatti che «le liste degli impegni riprendono quanto già stabilito nel Gats» significa che vige la posizione della Commissione Europea espressa nel documento «Commission Proposal for the Modernisation of the Treatment of Public Services in EU Trade Agreements», del 26 ottobre 2011, che conferma in toto quanto da me scritto nell’articolo.

E poi, viceministro, che significa partecipare al TISA (Accordo sul commercio dei servizi) con il sacro impegno di difendere i servizi dal commercio?

Ne approfitto per farle una proposta: perché non organizzare un bel dibattito in Tv in prima serata, dove con calma governo e campagna «Stop Ttip» possano spiegare i rispettivi punti di vista?

Marco Bersani