Sara aveva 90 anni, Abramo ancora di più. Dio aveva promesso un erede (maschio, ovviamente) ad Abramo, ma Sara non poteva diventare madre e,si sa, da che mondo è mondo, una donna che non può diventare madre è una donna dimidiata. E nel suo afflato oblativo offre al vecchio marito la giovane schiava, Agar, una straniera, forse di origine africana. Agar rimane incinta di Abramo (si sa, l’uomo è uomo anche a mille anni) e gli partorisce un figlio che si chiamerà Ismaele. Ebbene,la tradizione ebraica ci tramanda che questo figlio ‘surrogato’ sarà ‘sostituito’ da Dio, che apre l’utero della vecchia Sara e le permette di partorire il figlio che sarà Isacco e sarà il patriarca dopo il padre. E Agar con Ismaele? La tradizione coranica la rappresenta vittima della gelosia di Sara,vagante nel deserto alla ricerca di acqua per sé e per il figlio,donna forte e autonoma (si rilegga «Le figlie di Agar» della femminista valdese Letizia Tomassone).

Ma perché questo mio riferimento al racconto biblico e a un patriarcato così antico?

Per dire che, al di là dei vari bla-bla sulle reti e contro la volgarità degli uomini di destra su un recentissimo caso molto noto,credo che le parole più sensate siano state dette da donne.

Ebbene, io penso che la questione vada al di là del compenso o no alla madre ‘sostituta’ e al censo dei protagonisti. Se non si tratta di un dono per relazione tra donne,mi pare inevitabile pensare al corpo delle donne, ancora una volta dopo millenni dal Genesi, oggetto o,per lo meno, terreno (o culla) del desiderio maschile di trascendenza.

E importa relativamente, a mio avviso,che ci sia l’offerta femminile di sé al desiderio maschile: le strade della relazione tra i generi sono lastricate di oblatività femminili,anche se si tratta della offerta della ‘potenza’ generante.