Non ci è stato possibile pubblicarle tutte su carta. Ma ci avete scritto in tante e tanti. Eccovi qui.

Le lettere per Pietro Ingrao al manifesto

Togliatti, che lo stimava, avrebbe voluto che fosse il suo successore, ma questo intellettuale alla continua ricerca della verità è stato più apprezzato dai militanti che dall’apparato del Partito Comunista.
Negli scontri interni i suoi avversari, sgombra la mente da pensieri profondi, erano abili nelle manovre di corridoio funzionali a far prevalere i furbi sui capaci. I suoi due principali errori sono stati dovuti al suo spirito critico, che lo spingeva a dubitare delle idee giuste, che pensava.
Il voto favorevole alla radiazione degli “ingraiani” del Manifesto, due dei quali, Castellina e Magri ed il loro piccolo partito saranno chiamati da Berlinguer ad aiutarlo contro l’ostruzionismo della destra migliorista subalterna all’ideologia antimarxista promossa dai poteri forti. Dopo essere stato a capo della mozione “Rifondazione Comunista” contro la sciagurata liquidazione dell’insipiente Occhetto, restò nel “gorgo”, mentre la sua autorevole guida avrebbe portato al successo il PRC, che alle comunali del 1993 aveva superato a Milano e Torino il PDS.
Pregevole il libro, scritto a quattro mani con la Rossanda, nel quale mostrava come la globalizzazione e la libera circolazione dei capitali verso paesi a minore costo del lavoro avessero consegnato il manico del coltello ai padroni. Ricordo con commozione la sua partecipazione alla manifestazione dell’aprile 1999 contro i bombardamenti di Belgrado e a quella di San Giovanni alla fine del 2007 con le sue parole conclusive: “La lotta continua”.
E’ un punto di riferimento insieme ai maestri del comunismo italiano, a cominciare da Gramsci, per tutti coloro, che nel mondo combattono la barbarie neoliberista. Speriamo che lo diventi presto in Italia.
Franco Buccella

L’idea che la mitezza è in netta discordia con questi tempi della violenza, era la luce del suo pensiero. Così l’invito a riguardare il significato, che riveste a seconda delle contingenze i concetti, è stata una delle sue lezioni di politica, stabilendo i rapporti e i ruoli di un conflitto sociale vero, e non svilito alle propagande, ma che incarnando le istanze preserva appunto una mitezza virtuosa, senza che scada in una grezza aggressività.
Nino Borrelli, Salerno

Eretico e non scismatico, così Fausto Bertinotti ha definito Pietro Ingrao riproponendo un giudizio che Claudio Sabattini aveva dato su se stesso tanti anni fa. Mi pare una immagine troppo statica, anche perché Ingrao negli ultimi anni della sua eccezionale vita politica scismatico lo era diventato. Dopo aver combattuto con tutte le sue forze la svolta di Occhetto aveva inizialmente sostenuto che bisognasse rimanere nel partito erede del PCI, perché si doveva stare “nel gorgo”. Ma dopo solo due anni quel partito lo aveva lasciato e si era speso per costruire un’alternativa a sinistra di esso. Se si è coerentemente eretici prima o poi scismatici si è costretti a diventarlo, se le cose non cambiano. D’altra parte nessuno dei leader della sinistra italiana, che siano stati più eretici o più scismatici, è riuscito a fare meglio di lui, segno che la contraddizione che ha vissuto non è di quelle che si possono risolvere con puri atti di volontà.

La storia di Ingrao è quella della parte migliore del comunismo italiano, quella sinistra di scuola togliattiana che accomunava il legame di ferro con l’Unione Sovietica con la ricerca gramsciana di una via per la rivoluzione in Occidente. Si fa torto ad Ingrao se si cancella questa parola, rivoluzione, dal suo vocabolario e dai suoi sentimenti. Non è mai stato un riformista in nessuna delle accezioni correnti o passate. Anzi mi permetto di testimoniare che negli ultimi anni questa parola era tra quelle che più gli stavano care, quella che riassumeva lo scopo di una vita e lo sguardo verso il futuro. Certo essere rivoluzionari nel PCI comportava prezzi da pagare ed errori. Da quando nel 1966 affermò il suo dissenso, ma poi accettò quelle regole del gioco che lo condussero ad approvare la radiazione de il Manifesto, credo che siano diverse le volte nelle quali Pietro Ingrao abbia sofferto la contraddizione tra il suo sentire ed il suo concreto comportamento. Ma questa sua sofferenza e personale contraddizione, da lui stesso poi più volte ricordate , non ci deve far smarrire il dato di fondo. Ingrao aveva ragione e se il PCI avesse accettato il suo punto di vista sulle nuove contraddizioni del capitalismo e soprattutto la sua richiesta di libertà di discussione interna, la storia della sinistra in Italia ed in Europa sarebbe diversa, più avanti. Invece quello stesso apparato che poi dalla sera alla mattina sarebbe corso in massa a cambiare nome al PCI, nel nome dell’ortodossia combatté Ingrao e coloro, pochi, che rimasero con lui. I miglioristi, chissà perché definiti liberal, furono allora alla testa della resa dei conti di tipo staliniano con Ingrao ed il suo dissenso. Ma egli accettò alla fine quella condizione perché credeva restasse in piedi la doppiezza del PCI, il suo essere una forza di massa con pratica riformista che, anche se alla lontana, continuava a richiamarsi alle sue radici rivoluzionarie, al comunismo. Fino a che questo legame non fosse stato del tutto stato soppresso Ingrao sarebbe rimasto in quel fiume, cercando di muovere da lì controcorrente. Per questo la sua vera e profondissima rottura fu con la Bolognina nel novembre 1989.

Sulla base delle passate esperienze il gruppo dirigente occhettiano sperò per qualche giorno che Ingrao non si opponesse alla svolta, magari dandone una lettura di sinistra. Era una incertezza che percorreva anche tanti di noi, combattuti tra la necessità di un cambiamento e la diffidenza verso quel cambiamento. Dopo qualche giorno di silenzio, nel quale si accreditarono le voci più diverse, Pietro Ingrao espresse tutto il suo disaccordo, tutta la sua rottura con la svolta. Fu proprio la rinuncia esplicita alla prospettiva anticapitalista, al cambiamento di sistema a farlo decidere. Attenzione, in un certo mondo radicale la svolta veniva presentata addirittura come una scelta di sinistra. In fondo, si diceva, il PCI era diventato un partito moderato anche perché la parola comunista giustificava i peggiori comportamenti opportunistici nel nome di un ideale superiore. Eliminando questa copertura ideologica ci sarebbe stato più radicalismo pratico. Era un errore politico, storico e culturale, che non comprendeva che tipo di capitalismo ideologico e totalitario si stesse affermando e come fosse indispensabile, anche per la battaglia quotidiana più immediata, un punto di vista critico di sistema. Il fatto che oggi l’anticapitalismo di Papa Francesco abbia tanto successo e copra un vuoto così profondo a sinistra dà completamente ragione al no di Ingrao. Che a quel punto scelse una pratica politica che non era sua, quella di corrente, quella delle alleanze con dirigenti del PCI contrari alla svolta da punti di vista abbastanza distanti dal suo. Divenne perciò anche scismatico e non mi risulta che se ne sia mai pentito. Gli “ingraiani” cioè quei dirigenti politici e sindacali che erano considerati a lui vicini, si divisero nel 1989 come già avevano fatto nel 1966. Molti lo abbandonarono e operarono per la versione di sinistra della svolta.

Cancellato il PCI Ingrao continuò soprattutto un’opera di testimonianza e militanza. Francamente a chi lo ha criticato per questo mi sento di chiedere cosa avrebbe potuto fare di davvero diverso, con il disastro in atto della sinistra italiana in tutte le sue anime e strutture. Così lo ricordiamo novantenne farsi accompagnare in motorino alla fine del lungo percorso di un corteo contro la guerra e poi salutare a pugno chiuso. Era il suo modo concreto per resistere ed indicare una via. Nella storia ci sono i no che vincono e ribaltano il corso egli eventi, e quelli che solo indicano quello che avrebbe potuto essere e non fu. Entrambe queste specie di no sono decisive per le nostre vite. Per questo i no di Ingrao nel 1966 e nel 1989 durano nel tempo e ci ricordano da dove partire se si vuol davvero cambiare una società sempre più ingiusta e distruttiva.

Ingrao non fu mai pacificato o rassegnato e non può essere imbalsamato in un vuoto e ipocrita pantheon dei padri di una Repubblica che da tempo non esiste più. Ingrao era un rivoluzionario di una pasta speciale, come sono tutti veri rivoluzionari, quelli per dirla con Che Guevara, che sanno essere duri senza perdere la tenerezza.
Giorgio Cremaschi

Voleva la luna Pietro Ingrao, e questo sarebbe un ottimo contributo al dibattito “c’è vita a sinistra”.
Volere la luna è pensare all’impossibile, andare oltre lo stato di cose presenti. Il dibattito finora emerso,onestamente, non ha portato quasi nulla di nuovo. Tutti gli interventi, quasi tutti, girano attorno al possibile, addirittura attorno al PD. Siamo lontani anni luce, altro che vita a sinistra. Oggi le parole per ricordare Pietro si sprecano e servirà ricordarlo appena questa orda di ipocrisia sarà passata. I Renzi, i Veltroni, i Mattarella, cosa c’entrano con la vita, il pensiero di Pietro? Nulla, proprio nulla. Un pensiero per Pietro, rubando sue parole, e poi basta: Settembre sono questi cieli il loro destino incerto il fulgore morente. Pietro ci ha lasciati, o meglio, silenziosamente, se ne è andato, il 27 settembre 2015.
Francesco Giordano

L’associazione per il rinnovamento della sinistra esprime il cordoglio profondo della presidenza e di tutti i suoi soci per la scomparsa di Pietro Ingrao e partecipa con commozione al dolore delle figlie, del figlio, dei familiari e di tutti le compagne e i compagni che l’hanno stimato e amato. Il suo insegnamento e la sua azione politica sono stati determinanti per liberare il Partito comunista italiano e l’insieme della sinistra da ogni forma di dogmatismo, per formarne il pensiero critico, per aprire la strada al rinnovamento della loro politica e delle loro idee senza smarrire i motivi storici e i valori morali da cui ha preso origine il moto di emancipazione e di liberazione umana indirizzato alla democrazia e al socialismo. Ognuna delle grandi battaglie politiche progressiste del novecento e del tempo in cui viviamo hanno avuto in lui un anticipatore e un protagonista essenziale. Così è stato, in primo luogo, nella lotta per la pace del mondo e nell’azione per un nuovo modello di sviluppo compatibile con la salvaguardia della natura e orientato ad una giusta ripartizione della ricchezza tra il nord e il sud del mondo oltre che in ogni paese. L’ARS, per cui l’opera di Ingrao è stata fonte di ispirazione, darà tutto il suo contributo alla conoscenza e allo sviluppo del suo pensiero.
Per la presidenza dell’Ars Alfiero Grandi, Aldo Tortorella

Caro Pietro, quando ho saputo che te ne eri andato ho provato una grande tristezza. Probabilmente per tanti è difficile comprendere la tristezza di una ragazza di diciott’anni per la morte di una persona nata molte generazioni prima di lei e che non ha mai conosciuto, anche se uno dei sogni nel cassetto difficilmente realizzabili di quella ragazza era proprio quello di incontrarti. Pur sentendomi decisamente “berlingueriana” ti ho sempre stimato molto. Eri quello della sinistra interna al partito, il “movimentista” rivendicavi più libertà di discussione nel partito e credevi che al suo interno non esistesse il diritto al dissenso e ai congressi non c’era partita, eri l’eterno perdente. Eppure ti sei sempre battuto per gli stessi obiettivi e non hai perso di vista le tue convinzioni, non ti saresti mai comportato come i politici di oggi pronti a cambiare casacca solo per trovarsi comodamente seduti sul carro del vincitore. Certo, i tuoi errori li hai commessi e tu stesso l’hai ammesso, come l’aver difeso la repressione della rivolta in Ungheria dalle colonne dell’Unità nonostante questa fosse da te disapprovata e il non aver cercato di evitare l’espulsione degli esponenti del gruppo del Manifesto. Ma proprio l’ammettere d’aver sbagliato, anche se a distanza di molto tempo, ti rende ancora più grande, un gigante in confronto all’attuale classe politica. L’eredità che ci lasci è veramente immensa: il pacifismo, la democrazia concepita non solo come democrazia rappresentativa ma come forma di governo che coinvolge direttamente le masse, l’attenzione ai movimenti. Ma se c’è una cosa che ho apprezzato di te è stata la tua opposizione alla svolta della Bolognina. Ti sei battuto come un leone contro lo scioglimento del partito, volevi che si lavorasse alla costruzione di un comunismo non totalitario, che del resto era sempre stato l’obiettivo del PCI dal dopoguerra in poi. Il Partito Comunista Italiano aveva elaborato una propria via verso il socialismo, una via che comportava il rispetto di tutte le libertà garantite dalla Costituzione e che anzi, poggiava proprio sugli articoli della Costituzione più avanzati. Il muro di Berlino era caduto, l’URSS era in via di disfacimento, ma noi no, noi eravamo diversi, non avevamo motivo di abbandonare la lotta. Anzi, quello era il momento in cui con più forza quella lotta andava portata avanti, visto anche che il neoliberismo stava iniziando a guadagnare terreno. L’era sovietica è finita da un pezzo, ma finché non ci sarà giustizia sociale, finché ci saranno lavoratori sfruttati, finché ci saranno uomini così ricchi da soggiogarne altri, ci sarà qualcuno che lotterà per il socialismo e quella lotta sarà attuale.

Ed è proprio questo che ti ha contraddistinto in quei periodo, la capacità di guardare oltre e di immaginare il futuro, anzi, di prevederlo. In uno dei tuoi discorsi di quel periodo hai parlato dello strapotere che Berlusconi si stava guadagnando con le sue tv private, che detenevano sostanzialmente il monopolio, e delle sfide poste dall’immigrazione. Era il 1991. Quello che io posso sperare è solo di avere un briciolo della tenacia, dell’intelligenza, dell’umiltà, della rettitudine che ti hanno contraddistinto durante i tuoi 100 anni di vita. A noi non resta che continuare nella lotta, sperando un giorno di poter vedere coi nostri occhi quel mondo che sogniamo. Chiediamo troppo? Sarà. Fatto sta che è facile chiedere e ottenere ciò che è possibile ottenere. Alla politica spetta tentare ciò che sembra impossibile, per capire se è davvero impossibile o se lo è solo in apparenza. Ed anche questo ce l’hai insegnato tu. Addio compagno, che la terra ti sia lieve.
Angelica Bufano

Muore così Pietro Ingrao. Muore in una notte di Luna. La “Super Luna”. La Luna rossa. Quella Luna che lui sognò, per cui scrisse. Quella Luna che nella notte della sua morte si tinge di rosso: grande, splendente, emozionante, profetica. Poi il buio. L’eclissi. Quel rosso passionario viene coperto, annebbiato, sommerso nel silenzio e nell’indifferenza dei più. Perchè è notte. Perchè dormono. Perchè quell’evento così magico e speciale è stato preceduto e sarà succeduto da corse, da cose da fare, da autobus da prendere, da treni da non perdere, da compromessi a cui sottostare, da soldi da guadagnare, da guerre da combattere, da poveri da ignorare, da lavoratori da sfruttare, da donne da non considerare, da ricchi a cui inchinarsi, da rivoluzionari da emarginare, da dissidenti da comprare, da leggi del mercato a cui sottostare. Troppe cose da fare: non c’è più tempo per pensare. Troppo buio per poter ancora vedere quello spettro che aleggia: aleggia sull’Italia, sull’Europa e sul mondo. E’ da quel buoi che riemerge la Luna: spunta rossa e superba in un cielo senza stelle. No che non ci siano in realtà. E’ che sono sommerse dall’ipocrisia, dall’arroganza e dall’egoismo. Da questa spazzatura spunta una luce rossa che fa da faro e mostra la strada per il cielo: indica il verso giusto per raggiungerlo. Quel cielo che sta dietro a questo mondo assurdo che ci siamo costruiti e in cui ci illudiamo di poter vivere ancora così. Dopo averlo sporcato, infangato ed ingannato. Dopo aver fatto di tutto per renderlo sempre più agevole agli agiati e più emarginante agli emarginati. Muore in una notte così Pietro Ingrao. Forse guardando per l’ultima volta quella Luna, magari pensando a un mondo che non è diventato quello che aveva sognato. Certo non il mondo per cui aveva combattuto. Quanto meno il mondo che avrebbe voluto lui ha provato a costruirlo. Ne ha parlato. Ci ha spiegato.
E sono sicura che anche a lui venisse naturale il modo: “Casa per casa. Strada per strada. Comunista per comunista”. E invece no. A tutti gli altri non è stato chiaro niente. Tutto è stato mangiato da logiche subdole e qualunquistiche. Logiche di potere. Logiche di danaro. Logiche di ignoranza e di indecenza. Forse, se l’avesse saputo prima, chissà, avrebbe provato a combattere per una vita più giusta, equa e dignitosa su quella Luna che si era limitato a sognare invece che su una Terra che non sa ascoltare gli uomini di spessore, che dimentica i morti di ieri con quelli di oggi senza dare onore a nessuno. Muore così Tra il cordoglio di chi fino a ieri non sapeva chi fosse, del suo passato e della sua idea di futuro. Muore tra politici italiani che lo ignorano e tra compagni greci che lo piangono. Muore oggi quell’uomo anziano che qualche anno fa io scoprii in televisione e, non sapendo chi fosse, mi informai da mio padre. “Un comunista. Di quelli che sapevano cos’è il comunismo. E ci credeva veramente”, questa la risposta. E presentava il suo libro: “Volevo la Luna”. Ancora oggi conservo quel post it in cui mi appuntai il titolo per non scordarlo, per leggerlo. Per tenerlo a mente: se vivi tendendo a qualcosa in cui credi fortemente, per quella cosa devi donarti e combattere per raggiungerla. Col pensiero, con le mani, con la lotta. Anche se quello che vuoi è la Luna. E si sa, la Luna è lontanissima. Muore oggi e quella Luna gli fa un inchino, tingendosi di rosso: come l’amore, come la passione, come la rabbia, come quella bandiera che, se solo avessimo il coraggio di rialzarla, potrebbe unire i popoli nell’uguaglianza e nella dignità. Muore così e in pochi gli rendono davvero omaggio. Non per la sinistra che ci ha lasciato ma per l’esempio che ci ha dato. Ci lascia Pietro Ingrao ed io, che non ho mai avuto il coraggio di cercarlo per guardarlo e dirgli grazie per quel posti it e per quel messaggio che ho, indelebile, memorizzato in me, lo faccio così sperando che qualcuno posa leggerglielo. Muore Pietro Ingrao. E tra funerali di Stato e volti appesi all’ipocrisia, la Luna rossa non c’è più. Tornerà tra 18 anni: forse allora saremo maturi per guardarla e viverla senza dormire. La Luna si può ancora volere. Anche quella rossa.
Marilena Fittipaldi

Un uomo che è sempre rimasto fedele agli ideali giovanili rendendoli sempre attuali grazie al suo spirito critico, un politico che ha aperto il suo mestiere e la sua passione, la politica, agli oppressi e ai lavoratori, ai Costituenti. L’unico modo per innovarsi è fare autocritica senza snaturare noi stessi. Ciao Pietro
Adriano Ricci

Ci hai insegnato il valore del dissenso, del dubbio e della ricerca continua, fatta anche di sconfitte e di errori, da riconoscere e da cui ripartire, senza mai rinunciare alla concretissima utopia di un “altro mondo possibile”, possibile e necessario, in cui costruire diritti e dignità per tutte e tutti, senza mai arrendersi a un esistente fatto di ingiustizie e di violenze. Quel tuo “compagni non mi avete convinto”, quando dissentire era un’eresia. Quel tuo linguaggio capace di parlarci del “vivente non umano” con un pensiero ecologista profondo, profondo come tutti i tuoi pensieri. Quel tuo esserci sempre, anche a cent’anni, dalla parte dei più deboli. I tuoi saggi, i tuoi romanzi e le tue poesie. Quel tuo verso “L’indicibile dei vinti, il dubbio dei vincitori” che ci resta scolpito dentro. Grazie, Pietro Ingrao.
Valda Busani, Scandiano (RE)

Una forte emozione, seguita da altrettanta commozione, mi prese i primi di febbraio 1998, dopo aver ricevuto una lettera autografa di Pietro Ingrao. Un paio di mesi prima avevo inviato a “il manifesto”, perchè fosse consegnata a Ingrao, una videocassetta con le interviste sulla Spagna e la Resistenza raccontate da un protagonista, Ferrer Visentini, morto tre anni dopo. A Ingrao chiedevo di inviare un commento a quanto raccontato da Ferrer, sapendo che ciò gli avrebbe fatto molto piacere. Non mi ero preoccupato della mancata risposta: troppi, e più importanti erano gli impegni della sinistra in quel periodo. “… io devo scusarmi molto con te del ritardo di questa risposta… non sono riuscito a ritrovare la cassetta di cui mi parli… Mi dispiace molto di tutto questo… Grazie per le cose generose che mi dici sull’intervista con Minà (poco tempo prima venne trasmessa una intervista in tv, io gli avevo parlato anche della sua commozione nel raccontare del rapporto con sua moglie): è vero, con mia moglie c’è un legame di tutta una vita”. Ho voluto raccontare questo piccolo episodio, un minuscolo frammento di una grande vita, per ricordare la “pasta” di cui era fatto Pietro Ingrao. Non mi doveva nè scuse, nè risposta. Invece mi ha scritto. Una ragione in più, insieme a tutto ciò che ho imparato ascoltandolo e leggendolo, per tenerlo sempre nella memoria e nel cuore. Mi lacera non poter partecipare ai suoi funerali.
Danilo Andriollo, Creazzo (VI)

E’ morto Pietro Ingrao. Un comunista libertario. Uno di quelli che ha saputo coniugare il comunismo con la ricerca di un percorso non ancora scritto, senza l’arroganza di credere di aver raggiunto il pieno possesso di una linea teorica o la chiave di interpretazione totale della realtà. Ha fatto del dubbio il motore dell’essere comunisti e del confronto totale la sua pratica quotidiana. Per me è stato un maestro: a lui pensavo quando dovevo “giustificare” la mia presenza nel PCI nonostante il forte dissenso; la sua adesione al PRC, successiva alla mia, mi ha confermato nelle scelte; anche se mai del tutto coincidenti nella visione complessiva, è stato un punto di riferimento nella discussione sulla prospettiva. Grazie Pietro.
Marco Sansoè, Biella

L’eclissi della notte, il giorno da ricostruire. In memoria del compagno Ingrao
A volte l’intrinseca bellezza della vita è disarmante, al punto che risulta quasi spontaneo chiedersi se alcuni fenomeni naturali possano essere ridotti a coincidenze. Sto parlando di un’eclissi: la luna si tinge di un rosso meraviglioso e quasi scompare, nella notte in cui uno dei suoi più attenti osservatori lascia questo mondo. La luna si tinge del rosso che per cent’anni ha colorato Pietro Ingrao: il rosso del sanguinoso novecento, il rosso delle passioni più profonde, il rosso del comunismo e della sinistra.
Ho diciannove anni e vivo l’epoca della personalizzazione teatralistica della politica, della fine delle grandi narrazioni, del primato della finanza e dell’economia sull’umanità, della velocità come criterio di analisi del reale, dove l’unica alternativa pare essere – per tanti giovani – l’antipolitica. Vivo in un turbocapitalismo quasi dogmatico, in un turbocapitalismo che è e che, nella coscienza sociale, non potrebbe non essere, visto che l’Europa sta zitta quando Orban alza muri e costruisce barriere fra uomini ma provvede a distruggere ogni giorno soltanto l’idea che possa esistere un’alternativa alle folli politiche liberiste e di macelleria sociale degli ultimi lustri.
Ed anche questa è stata un’eclissi, forse. Una brutta eclissi. L’eclissi di una Politica che scompare. L’eclissi della politica con la P maiuscola, quella che Ingrao ha incarnato coraggiosamente fino all’ultimo secondo della sua vita. Quella stessa politica che nonostante tutto fa sognare anche giovani che, come me, Ingrao non l’hanno neanche vissuto. La Politica come arte dell’impossibile, come sguardo curioso verso l’immensità del mondo, con i piedi piantati nelle realtà difficili delle periferie, nelle fabbriche, nelle scuole e nelle università.
Ingrao è stato la politica umile, ha incarnato la radicalità delle idee senza mai perdere disponibilità e tenerezza, senza la pretesa di avere ricette preconfezionate o verità assolute in tasca. Per tutta la vita ha camminato domandando, a differenza di tanti spocchiosi dirigenti che oggi, anche a sinistra, non cercano il confronto con nessuno e continuano a percorrere sentieri sbagliati senza accorgersi di non avere neanche un popolo alle spalle.
È questo, infatti, un altro insegnamento di Ingrao, che da Presidente della Camera dei Deputati provò ogni giorno a tener saldo il rapporto fra le istituzioni e le persone in carne ed ossa, aprendo il “Palazzo” alle difficoltà, alle sofferenze e alla partecipazione democratica degli ultimi della società, perché la politica senza popolo semplicemente non è, ed in un Paese dove va a votare il 30% degli aventi diritto sarebbe il caso di interrogarsi sull’autoreferenzialità disarmante di un pezzo di ceto politico che sta consegnando l’Italia al caos e all’antipolitica.
Oggi la sfida che ci lascia Ingrao è difficile, tanto difficile. Onorare la sua memoria non è solo presenziare ai funerali di Stato, o scrivere commiati drammatici sulle pagine dei quotidiani. Onorare la sua memoria significa incanalare i suoi insegnamenti e la sua eredità nel percorso politico che ci aspetta. Dobbiamo ricostruire la sinistra italiana a partire dal suo popolo, dalle sue classi sociali di riferimento, dalle periferie del Mezzogiorno e dalle macerie di una crisi terribile. E poi, soprattutto, ricostruire per questo popolo un vocabolario, un obiettivo, una narrazione. Ricostruire un sogno per cui gli uomini e le donne in carne ed ossa siano disposte in tutto il pianeta a riprendersi il futuro e gli spazi di democrazia. Ci ha detto anche questo, il compagno Ingrao. Ce l’ha detto, prima che io nascessi, decantando la fecondità del dissenso nell’intervento di quel ventesimo congresso che ho riascoltato tante volte. “Rilanciare una ragione della sinistra ed una sua rimotivazione storica, qui ed ora, significa costruire risposte ai nuovi, essenziali, storicamente determinati, bisogni di autonomia, che possono collegare l’operaio e il tecnico della grande impresa automatizzata allo studente di Palermo, alla donna che chiede altri tempi di lavoro e di vita, sino al negro che lotta nell’Africa di Nelson Mandela.”
Impossibile? Può darsi. Ma il compito della politica è pensare l’impossibile e poi, magari, guardare alla luna, nella speranza di raggiungerla e di colorarla di rosso. Il mondo è cambiato, ma il tempo delle rivolte non è sopito.
Francesco Esposito

Buonasera, sono Nicolò Nannini, uno studente della facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza, scrittore e attore teatrale in erba e militante del partito di Rifondazione Comunista di Terni. Vi scrivo perchè sarei desideroso di vedere pubblicata su un prossimo numero del quotidiano, di
cui sono un affezionato lettore, una poesia che ho scritto in onore del compagno Pietro Ingrao. La morte di Ingrao, seppur preannunciata, vista la veneranda età, mi ha scosso non poco; ero molto affezionato alla sua figura, così ho voluto celebrarlo come potevo, con i miei strumenti. Questa mattina ho telefonato e mi è stato comunicato che per motivi di spazio non potete pubblicare una poesia rispettando i capoversi, perciò ve la invio per esteso, segnalando ogni capoverso con una barra. Vi chiedo con cortesia di rispettare sia le barre che l’uso delle maiuscole.
“Compagno”, poesia a Pietro Ingrao
Quel pugno chiuso, / sigillato / fino all’ultimo / sospiro. / Il vigore delle parole / mai stanche, / la forza irriducibile / della volontà. / Nei folti comizi / passati / come marmo ti ergevi, / Maestro. / Alle mille delusioni / future / come acciaio duro / resistevi. / Mai / hai distolto lo sguardo / da quel Sol / che tramontato / t’ha tinto / di rosso la luna. /Per cent’anni c’hai accompagnato / guidato; / hai affrontato i migliori / e i traditori, / sofferto, gioito, lottato / per quell’Ideale / che deciso chiamavi / Giustizia. / E io oggi, / triste e rassegnato, / ti chiamo / Compagno.
Nicolò Nannini

Caro vecchio compagno, la televisione ha appena sussurrato la tua scomparsa. Mi sono seduto davanti alla tastiera del computer, ho iniziato a scrivere a dirotto, senza pensare troppo alle virgole, ai punti che aprono e chiudono il tempo delle parole. Appunto, il tempo delle parole mi sta rimbalzando sotto la punta delle dita come se venisse da chissà quale lontananza. Un tempo che può capire solo chi ha sentito sul collo l’odore e il frusciare di una bandiera schioccata dal vento. Era un’altra vita, o forse eravamo in anticipo rispetto alle cose che accadevano realmente. Eppure, non è stato un sogno quell’andare e venire di gente che ci camminava a fianco, per le strade, le piazze. Quel sentimento l’avevate chiamato Comunismo, un nome facile da pronunciare, da difendere, da scrivere. Un nome da perseguitare, braccare, condannare, licenziare, abbattere. Ora i tasti di questa tastiera diventano pesanti, caro vecchio compagno, non mi viene in mente altro di mio che vada oltre il dispiacere e valga almeno una speranza. Aspetterò che il vento giri la banderuola verso Oriente, farò del mio meglio perché succeda, ma per adesso i tasti di questa tastiera sono come dei mattoni. Passerà lo sconforto, noi sappiamo che la storia è come la strada, e anche a piedi si farà, dobbiamo solo rimetterci in cammino, allargare i margini e raccogliere idee. Solo chi non ha idee serve a poco, tutti gli altri servono eccome. Intanto vorrei salutarti con i versi di Vladimir Majakovskij, i più belli che conosco e che ho già copiato sotto la tua fotografia: “Passerò, trascinando il mio enorme amore”.
Sauro Sardi, Agliana (PT)

A contrastare le politiche neoliberiste oggi dominanti in Italia,in Europa e nel mondo è necessaria una” nuova sinistra”,capace di far propri i valori dell’unità,.della coerenza ideale e pratica,del senso dell’utopia e della concretezza storico-.politica che hanno guidato il compagno Ingrao. Assimilarne la lezione per la ” nuova sinistra” è imprescindibile,se vuole essere all’altezza delle sfide che l’attendono oggi e domani. Una società più libera e più giusta è possibile:Bisogna crederci,come ci ha creduto,fino in fondo, Ingrao, grande comunista. Il suo comunismo,eretico,critico è sempre attuale e,rimane la ragione stessa della storia.
Mattia Testa

Il 27 febbraio 1993 300.000 lavoratori provenienti da tutta Italia si dirigevano a piazza San Giovanni per manifestare contro il voltafaccia del sindacato e la politica economica del governo Amato. Era il movimento dei consigli unitari e io, uno dei sette delegati che avevano promosso quella giornata, correvo su e giù per quel lungo corteo stupito e sconvolto per quel che vedevo. Sulla salita dietro Santa Maria Maggiore, a margine del corteo c’era un uomo solo che osservava lo scorrere di questi lavoratori: era Pietro Ingrao, ci guardava con un leggero sorriso. Mi è venuto spontaneo andargli incontro e dirgli chi ero con un abbraccio spontaneo senza parole.
A settembre, per l’altra manifestazione del movimento mi toccava parlare dal palco di fronte ad altri 300.000 lavoratori, ero terrorizzato. Ho telefonato a Pietro Ingrao, mi ha invitato a casa sua e quando gli ho spiegato la mia ansia mi ha detto: dì semplicemente quello che senti. Ancor oggi, dopo tanti anni, cerco di seguire la semplice verità di quelle parole: essere e agire per quello che sento dentro di me. Grazie Pietro.
Paolo Cagna Ninchi

Ci ha lasciato Pietro Ingrao, una di quelle morti che pesano più di una montagna. Un altro pezzo della nostra storia se ne va, rimane la dignità di essere comunista aperti al dubbio e al cercare cercare ancora.
Per me giovane comunista nel Pci dal 1953, è stato una figura importante e amata. Il suo diritto al dubbio o la lode al dubbio di cui dice Bertold Brecht (dubbi che ho avuto sin da piccina quando alla prima comunione masticai l’ostia per capire se davvero quello fosse il corpo di Gesù), affermato all’interno del partito comunista negli anni 50 ha salvato dallo stalinismo molti. Come il cercare e cercare ancora ed il suo senso della responsabilità. Sono uscita dal Partito Comunista dopo l’11 Congresso nel 1966, quando la «linea di Ingrao»” venne sconfitta ed Amendola lo attaccò come «cacadubbi». Non sono più entrata in un partito. Le appartenenze mi stanno strette. E da Ingrao venne l’appello di guardare ai cattolici non come alleanza strumentale ma capirne e vederne le differenze.
Mi sono ritrovata in Perù con i preti della teologia della liberazione e con i preti operai in Italia.
Durante la guerra in Iraq, insieme a Chiara, sua figlia e ad altre Donne in Nero entrammo al Parlamento e dall’alto tirammo dei volantino contro la guerra. Pietro si vergognò, disse, di essere in quel Parlamento e sfilava con noi nella manifestazioni contro la guerra. Che dire? La parola dolore non dice nulla di fronte a questo vuoto.
Luisa Morgantini

La morte di Ingrao a 100 anni è quanto di più fisiologico possa esserci per un appartenente alla nostra specie; la morte di un padre della Repubblica intanto che la Repubblica sta soccombendo sotto i colpi dei suoi figli più ignoranti e ingrati, è però un evento carico di una simbologia troppo amara per essere ignorata. Ingrao (loro volevano) «voleva la luna», noi stiamo facendoci sotterrare dal Pd di Renzi e Verdini.
Distanti anni luce da una sinistra minima, come, per dirla con parole che lo stesso Ingrao usò riferendosi al Craxi riabilitato dall’amico Napolitano, siamo distanti anni luce «da un socialista come Riccardo Lombardi, lui sì di sinistra insieme ad altri nel Psi».
Vittorio Melandri

Caro Pietro, più di 30 anni fa discutemmo accanitamente di pacifismo, movimenti e disarmo. Erano tempi di spaventose tensioni internazionali e missili nucleari nel giardino di casa. Partisti sulle posizioni ufficiali del «disarmo bilanciato e controllato» del Partito. Forte della spudoratezza dei vent’anni, obiettore nonviolento, ci diedi dentro con tutte le argomentazioni che possedevo. A un certo punto decidesti di tacere, e ascoltasti. Mi spiegasti, senza dire una parola, cosa significava «coltivare il dubbio». Grazie.
Roberto Chinello

Chi è nato nel dopo guerra ed a 16 anni decise di iscrversi al Pci come il sottoscritto, ha alle spalle una storia pesante… sa che essere stati di sinistra Ingraiani significava: – cercare di modificare lo stato delle cose presenti nell’economia, nel sociale, nella cultura, nei diritti del lavoro e civili attraverso la lotta continua e conquiste «di potere» fino a divenire egemoni nella società e dopo nel governo del Paese;
– essere contrari e combattere la burocrazia interna al partito che spesso nascondeva scelte «riformiste socialdemocratica» (si diceva allora) utilizzando la foglia di fico del “centralismo democratico»;
– non avere mai certezze dogmatiche, ma mettersi sempre in discussione e verificare nella realtà sociale i processi da portare avanti; – sapere che la verità va sempre sostenuta con forza perchè è rivoluzionaria!
Questa è una frase di Ingrao: «nella città venni al tempo del disordine quando la fame regnava. Tra gli Uomini venni al tempo delle rivolte e mi ribellai con loro».
Il mondo è cambiato ma il mondo delle rivolte non è mai sopito, rinasce ogni giorno sotto nuove forme… decidi tu quanto lasciarti interrogare dalle rivolte del mio tempo, quanto vorrai accantonare, quanto portare con te nel futuro.
Umberto Franchi

Se ne va un altro grande Politico. Restano i grandi imbonitori.
Flavio Gori

Chissà ora che cosa penserete tu con Berlinguer e Togliatti a vedere questa Italia che viene distrutta dalle riforme che questo Governo sta attuando. Chissà le preoccupazioni che avrete a vedere che la Costituzione che voi avete fatto viene stravolta. Sei stato un grande dirigente della Sinistra italiana. Ciao Pietro, ciao Compagno.
Davide Nardi Rimini

Scrivo su whatsup a mia figlia che mi racconta della morte del suo simpatico bidello, morto, down, precocemente. È morto anche Ingrao, un comunista, vero. Onesto ed ostinato, di quelli veri. È venuto una volta all’università, a Bologna. A trovarci per la curiosità di incontrare chi stava discutendo del proprio e dell’altrui futuro, a salutarci, persone che cercavano un perché delle cose, ha parlato del futuro come dedizione al presente, ha parlato di noi e quando se n’è andato tutti avevano gli occhi lucidi.
Stefano Gavaudan, veterinario

Cosa puoi dire quando a 25 anni leggi «Masse e Potere» e un nuovo modo di pensare ti si apre davanti? A noi, che veniamo, e ancora siamo, della corrente eurocomunista e che perseguiamo la «Via democratica per la trasformazione socialista della società» il pensiero del compagno Ingrao ha illuminato le menti. Scorrendo la sua vita possiamo dire che egli si poneva in posizione di ascolto e di confronto riguardo ai grandi problemi del suo tempo. Non esitò a manifestare il proprio dissenso pubblicamente con la storica frase «Non mi avete convinto». Rivendicò questo diritto non come un «petit bourgeois» scollegato dalla collettività, ma come diritto al dubbio, al fine di rinnovare le armi ideologiche e la teoria politica del nostro movimento. Il compagno Ingrao capì per primo che i movimenti sociali possono essere degli alleati strategici nella causa del socialismo solo se mantengono la propria autonomia. Fu anche il primo a capire che l’URSS sarebbe crollata se non si fosse rinnovata. Per lui i «lavoratori costituzionali», come li chiamò a Terni nel 1978, non erano solo un soggetto sociale che chiedeva più diritti dentro la fabbrica, ma la forza principale che custodiva la democrazia nella vita di tutti i giorni. La sua eredità è un prezioso regalo per tutti noi e dobbiamo trasmetterla agli altri. Grazie compagno Ingrao.
Nikos Karadilion, Vice segretario Atene Est Syriza

Addio Pietro, sei stato un dirigente politico per cui, in tante e tanti, abbiamo provato ammirazione e affetto. Ci hai insegnato a »volere la luna» – che dai più giovani è stato tradotto in «volere un altro mondo possibile». E continueremo a volerli, la luna e l’altro mondo possibile, anche se appaiono sempre più lontani, quasi irraggiungibili. Ma continueremo «con l’alta febbre del fare», per usare le parole di una tua poesia, e avendo sempre presente, nel vivo dell’azione, la fecondità del dubbio. Salutiamo con grande commozione il compagno, il partigiano, il poeta!
Moreno Biagioni

Con immenso dolore apprendiamo della morte di Pietro Ingrao, cittadino del nostro Municipio, protagonista esemplare della storia dell’ultimo secolo a partire dalle battaglie che ci hanno liberato dalle dittature nazifasciste. Uomo delle istituzioni eppure rivoluzionario: una vita che ha attraversato le vicende più significative, spesso dolorose del nostro Paese. Le contraddizioni dell’essere umano e del politico mai sottaciute, le lacerazioni dei dubbi, in costante tensione verso il cambiamento. L’immaginario, l’ideale della poesia e la concretezza della lotta. Un punto di riferimento, una luce accecante e autentica, un gigante dentro una storia che al suo cospetto a volte appare troppo piccola; un faro, una bussola per cercare la strada della Politica vera e deviare dalle derive politiciste.
Eleonora Venneri, Giunta del II Municipio, Roma

Esprimiamo sincera partecipazione al dolore per la morte di Pietro Ingrao, consegnando a tutti di famiglia sentimenti di vicinanza e di affettuosa condivisione. Lo ricordiamo nostro interlocutore attento, anche criticamente sensibile alle tematiche proprie della Nonviolenza, fin dai tempi degli incontri con Aldo Capitini, e sempre aperto ad un confronto partecipativo per la trasformazione sociale per l’emancipazione di
tutti, in primo luogo degli oppressi e degli sfruttati.
Rocco Pompeo, direttore Centro Studi Nonviolenza

Ora che ci hai lasciato, in una notte di luna rossa, ci siamo resi conto che era tanto, troppo tempo che non ci chiedevamo più «Ma Ingrao che ha detto?». Ci manchi. Che la terra ti sia lieve.
I delegati della RSU Almaviva di Roma

Ho conosciuto Pietro Ingrao nella mobilitazione contro i missili nucleari a Comiso. Da allora è sempre rimasto un punto di riferimento per il movimento pacifista italiano ed internazionale. Mirabile, in una aula silenziosa e rispettosa di una così autorevole voce, fu il suo intervento in dissociazione dal gruppo del Pci pronunciato a Montecitorio il 23 agosto del 1990 contro l’invio delle navi italiane nel Golfo Persico (preludio della prima guerra all’Iraq). Il suo «sulla guerra non ci si astiene» e «sulla guerra non si può tacere» lo ha visto sempre protagonista della mobilitazione per la pace convocata da appelli di cui, sovente, era il primo firmatario. Il suo intervento al Forum Sociale Europeo del novembre 2002, con Firenze che diventava stracolma di bandiere arcobaleno e di centinaia di migliaia di manifestanti, rimane un vero testamento politico di chi ha fatto della bandiera della pace, al pari di quella rossa, un vessillo di ostinata speranza per lottare per un mondo più giusto.
Alfio Nicotra, Vicepresidente nazionale di “Un Ponte per”

Ho 19 anni. Ingrao l’ho scoperto già vecchio. Poi, grazie ai mezzi che oggi ci facilitano le ricerche, ho riscoperto l’Ingrao del Pci, l’Ingrao partigiano, l’Ingrao poeta, l’Ingrao movimentista, l’Ingrao contrario alla Bolognina, l’Ingrao che accettò il Pds, l’Ingrao di Rifondazione, l’Ingrao nella famosa e bella foto «a pugno chiuso» a sostegno della famosa e meno bella esperienza dell’arcobaleno. L’Ingrao di cui ho festeggiato il centesimo compleanno, qualche mese fa, anche grazie all’iniziativa dei compagni de «il manifesto». Un Ingrao troppo estremista per i miglioristi e troppo moderato per i filosovietici. In realtà, Ingrao era un uomo con una testa pensante. Non aveva paura di dire ciò che pensava. Poteva permettersi di criticare tanto Stalin, Mao, Castro e gli «ortodossi puri», quanto i socialdemocratici minimalisti. Era un comunista democratico: voleva la luna rossa, sì, ma rossa di passione e non di sangue innocente. La dimostrazione vivente che si può volere tutto, si può inseguire il sogno per un futuro migliore senza cedere a violenti estremismi. L’animo nobile di un poeta nel corpo di un rivoluzionario. Praticamente, un eroe romantico al quale la mia generazione e le precedenti dovrebbero ispirarsi per lottare per il proprio futuro e quello della società.
Pietro Marino