Abbassare le tasse o ridurre il debito pubblico? Aumentare gli investimenti o rimpinguare le riserve per coprire le spese per i rifugiati? In Germania si discute di questo e lo si sta facendo perché il bilancio si è chiuso con un avanzo da sogno di 20 miliardi.

Quindi, secondo la propensione delle diverse forze politiche, anche in vista delle elezioni, vengono avanzate proposte diverse dal suo utilizzo.

Non c’è da meravigliarsi perché quel paese cresce con un tasso doppio di quello italiano e da molto tempo registra un saldo nelle operazioni correnti con l’estero – Ue ed extra Ue – che si aggira mensilmente sui 20 miliardi (anche in violazione delle regole europee). Stiamo parlando, insomma, di un’economia che cresce del 2% in uno scenario globale da stagnazione secolare, fortemente vocata alle esportazioni che si sta distaccando sempre di più dal resto d’Europa.

E proprio da qui prende il via una dichiarazione clamorosa del ministro delle Finanza Schäuble: «La Bce dovrà quest’anno uscire dalla politica monetaria ultra espansiva».

Insomma, siamo avvertiti, troppa liquidità in giro. Perché se in molti paesi, tra cui l’Italia, malgrado questo il cavallo non beve, come usano dire gli economisti, in Germania rischia di affogare.

Quindi possiamo prevedere con certezza nei prossimi mesi pressioni su Draghi perché allenti la politica di liquidità seguita dalla Bce.

Ma attenzione, forse non si tratta di un fatto contingente ma di un vero e proprio passaggio di fare: seppellito definitivamente il bipolarismo Francia-Germania, si ufficializza l’indiscutibile egemonia tedesca sull’Europa.

E questo passaggio si può inquadrare nel nuovo scenario geopolitica che vede emergere un gruppo ristretto di paesi potenti con guide forti – da Trump e Putin – che si accingono a ridisegnare i poteri e le aree di influenza con una forte accentuazione del peso degli interessi nazionali.

In questo contesto la Germania potrebbe decidere di giocare un ruolo in prima persona.

L’indirizzo che si intravede nella dichiarazione di Schäuble è chiaramente il contrario di quello che servirebbe – propagare all’Europa la crescita tedesca – e opposto a quello giustamente sollecitato da Laura Pennacchi sul manifesto di domenica: di incentivare gli investimenti pubblici fino a prevedere un quantitative easing spinto a finanziarli.

Ma con questo avremo molto a che fare nei prossimi mesi. Ed anche con questo possibile scenario che dovremo confrontarci in Italia e nella sinistra. Qui anche per lo sviluppo del dibattito congressuale di Sinistra italiana, le posizioni critiche sull’euro e le ipotesi di un’uscita – graduale, concordata e pilotata – stanno lievitando a scapito di tesi più possibiliste sul rilancio di un’altra Europa.

Sarà possibile un ultimo tentativo di ridare all’Europa una funzione d’avanguardia come la ebbe nei decenni del Welfare?

Certo servirebbe un’alleanza tra le forze progressiste europee per un nuovo sviluppo possibile fondata su pochi pilastri: incentivare gli investimenti pubblici, finalizzarne l’uso a nuova occupazione e alla redistribuzione di quella esistente con incentivi alla riduzione degli orari di lavoro, riequilibrio della pressione fiscale accentuandone la progressività per favorire i consumi delle classi più disagiate.

Se fosse possibile realizzare un fronte che pone questi obiettivi avrebbe senso e credibilità l’ipotesi che se l’Europa non è in grado di assumere questi obiettivi, allora si programmi un’uscita concordata e pilotata di alcuni paesi.

Se non si fa questa chiarezza e se non si assumono queste decisioni rischiamo di trovarci un altro scenario: l’uscita della Germania per affacciarsi al nuovo mondo che si sta configurando. E dietro … si salvi chi può.