«Oggi vi parlo in qualità di terrorista agli occhi del mio governo». Can Dundar va dritto al punto. L’ex direttore del quotidiano turco Cumhuriyet, alle spalle 92 giorni di prigione e sulla testa una condanna a 5 anni e 10 mesi di prigione per aver rivelato segreti di Stato, era tra i candidati al premio Sakharov per la libertà di pensiero. Come le vincitrici, la sua sola presenza qui in parlamento europeo è di per sé una provocazione.

Parla delle relazioni tra l’Unione Europea e la Turchia e delle contraddizioni occidentali: mentre si congela l’adesione alla Ue, Ankara resta irremovibile alleato Nato. «Vogliono un paese-soldato e un contenitore di rifugiati. Da subito abbiamo denunciato un accordo sporco: soldi e visti di ingresso in cambio dei profughi».

«L’Europa ha anche chiesto la modifica della legge anti-terrorismo ma non l’avrà mai – continua – Quella legge è il principale strumento contro gli oppositori come me. Ma come giornalista era mio dovere, il mio lavoro, raccontare quel traffico». Ovvero la consegna di armi da parte dei servizi segreti turchi a gruppi islamisti attivi in Siria, denunciato con video e foto da Cumhuriyet nel 2015: il reportage è costato la prigione a lui e al caporedattore Gul, ma – ribadisce – era «una storia vera, nessuno nel governo l’ha mai negata».

Dundar non si tira indietro, sfida le leadership europee: «Il rapporto Ue-Turchia è di potere, minacce reciproche. L’Europa non è entusiasta quando si tratta di discutere dei diritti umani in Turchia. Ma la Turchia non è Erdogan, come l’Europa non è solo le sue istituzioni. È la base che può garantire sostegno: il modo in cui i media raccontano il mio paese, la repressione, le condizioni della stampa, delle università, dei sindacati. Queste sono le relazioni necessarie. Anche quelle con i partiti politici, visto che abbiamo 10 parlamentari in prigione al momento. È questa la solidarietà che cerco».

Lo abbiamo incontrato a margine della cerimonia di premiazione.

Negli ultimi giorni la Turchia ha vissuto un altro attentato e, quasi sotto silenzio, la proposta di riforma costituzionale dell’Akp. Il governo sfrutta la paura per imporre un uomo solo al comando.

Lo fa grazie all’assenza di una stampa libera, di un’opposizione forte, della società civile, di capacità intellettuali che possano sfidare quest’ideologia. Se avessimo media liberi, questi sarebbero la voce contro la distruzione delle opposizioni, la guerra ai kurdi, il terrorismo. Ma nessuno al momento ha il coraggio di farlo, con lo stato di emergenza e una sempre maggiore forza militare usata come soluzione ai problemi. Ma la questione kurda non può essere risolta con la forza militare, lo sappiamo da 40 anni e da 40mila morti.

Con l’Hdp dimezzato in parlamento, la riforma passerà agevolmente?

Non sono certo che passerà, credo ancora che molti dentro l’Akp, il partito di governo, temano l’isolamento della Turchia e il potere in mano ad un uomo solo. C’è chi ha dubbi in merito, non possiamo sapere quale sarà il risultato. Ma a Erdogan basta quest’atmosfera di paura e terrore per convincere la gente del bisogno di una leadership forte priva di quei “dettagli” come parlamento, stampa, opposizioni, accademici.

La Turchia vive anche una seria crisi economica. Nonostante la strategia della tensione, lo scontento emergerà?

La crisi economica ha già un impatto duro, la gente diventa ogni giorno più povera, le fabbriche e i negozi chiudono. Se prima era il tentato golpe, ora Erdogan usa la crisi per accusare l’Europa di volerlo far cadere. Nel breve periodo ne gioverà, ma nel lungo i turchi non gli crederanno più e lo scontento esploderà.

Quali settori della società lo sostengono?

Molti nella classe medio-bassa lo vedono come modello: cresciuto in una famiglia povera, parla la lingua del popolo ma sfida i poteri forti, i media, l’Europa, questa è l’immagine. Altro elemento è l’Islam, che sfrutta per garantirsi consenso. E infine gode del sostegno del grande capitale.

Il reportage che l’ha condannata a carcere e esilio raccontava dei legami con i gruppi islamisti. Perché Erdogan infiamma la regione?

Prima di tutto per impedire la nascita di uno Stato kurdo nella regione, la maggiore paura di Ankara. In secondo luogo, Erdogan vuole espandere il proprio potere in Medio Oriente a suon di conflitti. Infine, per l’affiliazione che ha con i movimenti islamisti e il sogno di creare un sultanato.

L’Europa l’ha candidata al premio Sakharov e l’ha applaudita, ma non mette in discussione i rapporti con la Turchia.

Dobbiamo separare le leadership europee dal parlamento. Io sono molto critico nei confronti della politica europea verso i rifugiati e verso la Turchia, ma penso che candidando me mandino un messaggio agli Stati membri. Un modo per dire che la Ue ha un’altra visione. O almeno lo spero.