Campi profughi allestiti in Africa per accogliere quanti fuggono da guerre e persecuzioni. Nel tentativo di arginare i flussi migratori, l’Europa questa volta non alza l’ennesimo muro ma monta tende nei Paesi africani dove ogni anno transitano decine di migliaia di uomini, donne e bambini provenienti da paesi devastati da conflitti interni o retti da dittature spietate. Campi gestiti da organizzazioni internazionali come l’Unhcr e l’Oim, dove i profughi saranno accolti e, si spera, protetti adeguatamente in attesa che i paesi europei aprano loro le frontiere andandoli a prendere direttamente in Africa e sottraendoli così alle organizzazioni criminali.
Per adesso si tratta ancora di un progetto sulla carta, ma è quanto prevede il Processo di Khartoum, l’accordo raggiunto tra i ministri degli Interni e degli Esteri dell’Unione europea insieme ai corrispettivi di Egitto, Eritrea, Etiopia, Gibuti, Kenia, Libia, Somalia, Sudan, Sud Sudan e Tunisia e presentato ieri a villa Madama a Roma dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni insieme al titolare degli Interni Angelino Alfano e all’alto rappresentante Pesc Federica Mogherini. Accordo che se da una parte è positivo, perché potrebbe davvero segnare il nuovo passo da parte dell’Unione europea nella gestione dei migranti, dall’altro proprio per la vaghezza che ancora lo circonda suscita più di una preoccupazione per il rischio che i campi di cui si parla si trasformino in contenitori profughi abbandonati di fatto al loro destino. Come purtroppo già accade con alcuni campi simili già esistenti in Africa.
Solo il tempo potrà dire se il Processo di Khartoum avviato ieri a Roma è davvero «un evento storico», come lo ha definito il ministro Alfano, oppure una riedizione solo un po’ più pulita del famigerato Trattato di amicizia Italia-Libia sottoscritto nell’agosto del 2008 dall’allora governo Berlusconi con il leader libico Gheddafi al solo scopo di fermare l’immigrazione verso l’Italia.
Un fatto è certo: sei anni dopo quel trattato, è dal paese nordafricano che ancora una volta bisogna ripartire, perché è ancora di lì che salpa la maggior parte dei barconi che attraversano il Mediterraneo. Come ricordato ieri da Gentiloni: «Dal primo gennaio a oggi abbiamo avuto 162 mila sbarchi, contro i 40 mila dell’anno scorso. Dobbiamo essere consapevoli che il 90% di questi numeri viene dal transito attraverso la Libia», ha detto il titolare della Farnesina. Nel frattempo, però, in questi sei anni altre cose sono cambiate. Nel 2008 l’immigrazione era legata principalmente a motivazioni economiche, mentre oggi l’80% di quanti sono sbarcati lungo le nostre coste grazie all’operazione Mare nostrum sono profughi in fuga dalla guerra. Impossibile non tener conto della differenza. E anche per questo l’idea di allestire campi in cui accoglierli in Paesi dove spesso la violazione dei diritti umani è all’ordine del giorno solleva più di una perplessità. Tanto più che rappresentanti del governo eritreo e di quello sudanese erano tra i partecipanti della conferenza di Roma. Un modo per aprire il dialogo con realtà finora difficilmente permeabili, secondo il governo italiano. «Ma il dialogo non basta», replica il direttore dell’Agenzia Habeshia che da anni denuncia le violenze del regime eritreo, il sacerdote eritreo don Moses Zerai. «Servono garanzie, l’assicurazione da parte dei governi sudanese e eritreo di voler davvero cambiare rotta».
Tutti i governi africani presenti alla conferenza hanno accettato di aprire campi nel proprio territorio e in particolare quelli – come Sudan, Sud Sudan, Niger, maggiormente interessati dal passaggio dei profughi. Una tappa importante per capire come evolverà il Processo di Khartuom, sarà la riunione che gli Statai membri dell’Ue faranno per decidere le quote di profughi da destinare a ciascun Paese. Da parte sua l’Unhcr ha chiesto un impegno per la realizzazione di quattro punti ritenuti imprescindibili: facilitare i ricongiungimenti familiari dei richiedenti asilo, un maggior numero di visti umanitari e per motivi di salute, schemi per la mobilità lavorativa e un aumento dei posti previsti per i reinsediamenti dei rifugiati.
Resta poi sempre aperta la questione dei diritti umani. Significativo che mentre alla Farnesina si discuteva con i rappresentanti del governo di Asmara, a Roma ha fatto tappa la commissione d’inchiesta avviata dall’Onu per la violazione dei diritti umani in Eritrea con lo scopo di ascoltare le testimonianze degli eritrei fuggiti all’estero. Alla Camera, invece, si teneva la presentazione della campagna «Giustizia per i nuovi desaparecidos» dedicata proprio alle vittime delle traversate nel Mediterraneo, molte delle quali fuggite proprio dal regime di Isaias Afewerki che oggi proprio grazie al processo di Khartoum vede un importante riconoscimento dal parte dell’Europa. Un problema, quello relativo al rispetto dei diritti umani, che l’alto rappresentate Pesc Mogherini ha garantito ieri di aver affrontato con i rappresentanti del governo eritreo.