L’approvazione era scontata, al punto che due giorni fa Erdogan ha già detto di non voler dare peso alla mozione in cui si chiede al parlamento europeo di sospendere la discussione sull’adesione della Turchia alla Ue. Un congelamento «temporaneo», hanno spiegato socialisti, liberali, conservatori e verdi – autori della mozione – reso necessario dal giro di vite imposto in Turchia dopo il fallito colpo di stato di luglio. E come previsto ieri l’aula di Strasburgo ha dato il suo via libera al provvedimento con 479 sì, 37 no e 107 astenuti. «Le misure repressive adottate dal governo turco – si legge nel testo – sono sproporzionate, attentano ai diritti e alle libertà fondamentali sanciti nella Costituzione turca e minacciano i valori democratici dell’Ue». Stizzita, la reazione di Ankara. «Ci aspettiamo che i leader dell’Ue si schierino contro questa mancanza di visione», ha detto il premier Binali Yildrin, per il quale la mozione non alcuna importanza reale.

Il testo approvato testimonia una volta in più come quello tra le istituzioni europee e la Turchia sia un dialogo ormai sempre più logoro. Ma l’indifferenza dimostrata da Erdogan e dal suo primo ministro non è del tutto immotivata. Pur avendo un forte valore politico, la mozione non è infatti vincolante per il Consiglio europeo, a cui spetta la decisione finale. E non è certo un caso se ieri nessuno tra i capi di Stato e di governo dei 28 ha rilasciato dichiarazioni sul voto di Strasburgo.

Sullo sfondo non c’è solo il mancato rispetto dei diritti umani in Turchia, ma anche il mantenimento in vita dell’accordo di marzo sui migranti che ha portato a un forte calo del flusso di profughi siriani in Grecia. Accordo la cui tenuta è continuamente messa in discussione da Erdogan che preme perché Bruxelles approvi al più presto, e comunque entro la fine dell’anno, la liberalizzazione dei visti che permetterebbe ai turchi di circolare nell’area Schengen.

Passaggio reso però difficile proprio dalla repressione in corso ormai da mesi in Turchia contro le opposizioni e alla quale Erdogan non sembra voler mettere fine.

Per Bruxelles è comunque sempre più difficile limitarsi a condannare solo a parole quanto accade. Anche se ancora prevale la prudenza. «Se si ferma il processo di accesso, ci troveremo in una situazione perdente per tutti», ha detto lunedì l’alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini. Una posizione condivisa dalla maggioranza dei leader europei, la maggioranza dei quali continua però a non voler accogliere i profughi. Dopo aver tentato di far passare una «solidarietà flessibile» all’ultimo vertice dei ministri degli Interni, ieri la presidenza di turno slovacca ha provato di nuovo a far saltare il principio delle quote obbligatorie con un nuovo documento di revisione del regolamento di Dublino in cui si propone che ogni Stato accolga «solo alcune categorie» di migranti, quelli considerati più vulnerabili. L’ennesimo modo per tenere i profughi lontani dalle proprie frontiere.