Il professor Yannis Mylopoulos, già rettore all’università di Salonicco è il nuovo presidente del terzo canale della Radiotelevisione ellenica (Ert3). Noto ai greci per le sue lotte contro il tentativo dei governi precedenti di trasformare i modelli di governance degli atenei, introducendo il concetto di flessibilità d’impresa secondo la visione neoliberista applicata alle amministrazioni pubbliche, Mylopoulos ricorda che «il mese di luglio è un mese nero della democrazia in Grecia».

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«Nel 1965 – racconta – alcuni deputati si dimisero dal partito di governo provocando una crisi e il colpo di stato dei colonnelli due anni dopo». Infatti subito dopo il re Costantino, con l’ appoggio di alcuni dissidenti del centro guidati da Costantino Mitsotakis, costrinse alle dimissioni il premier Yorgos Papandreou, dando inizio a un periodo turbolento che «finisce» con il colpo di stato del 1967.

«Nel luglio del 1974 – continua Mylopoulos – c’è stato il colpo di stato dei greci contro il presidente cipriota Makarios, e in seguito l’invasione turca a Cipro. Oggi c’è un altro progetto che vuole capovolgere il legittimo governo di Syriza e Anel».

Oggi appunto i greci sono chiamati a votare in un clima di grande tensione e di acuta polarizzazione sociale. Come si è arrivati a questo punto secondo lei?

Le istituzioni europee – disdegnando la volontà dei greci di mettere fine a una politica di austerity pesante che ha provocato la recessione a livello economico, l’impoverimento e la disperazione della popolazione – per cinque mesi hanno fatto tutto il possibile per imporre al governo greco la continuazione della stessa politica neoliberista. E quando le trattative erano arrivate a un punto critico e Alexis Tsipras ha deciso di indire il referendum dopo l’ultimatum dei creditori, le cosiddette «istituzioni» hanno tentato di influenzare il giudizio dei cittadini. Hanno ricattato ancora una volta il popolo per ottenere il «sì» alle loro proposte, intervenendo senza scrupoli nel procedimento della consultazione popolare.

In che modo?

Innanzitutto chiudendo i rubinetti di liquidità alle banche greche. L’obiettivo è più che evidente: terrorizzare i greci perché soltanto così potrebbero costringerli ad accettare le nuove pesanti misure restrittive che provocheranno ancora più povertà e desolazione. In secondo luogo, le «istituzioni» sono intervenute in un modo inaccettabile nei fatti interni di un regime democratico, di uno stato libero, imponendo un’interpretazione diversa del referendum per soddisfare i propri interessi. A livello istituzionale il loro è un attacco alla democrazia.

Ma anche i media locali hanno cercato di terrorizzare la gente, violando ogni principio di etica professionale. Non si era mai vista prima una campagna mediatica cosi «falsificante».

Negli ultimi anni la longa manus delle «istituzioni» e degli oligarchi greci sono stati i canali tv privati. Non dimenticate che la radiotelevisione pubblica è stata chiusa dal governo precedente nel tentativo di rafforzare il dominio dei media privati, che appartengono appunto a poche famiglie con rapporti strettissimi con Nea Dimokratia e Pasok. Oligarchi e forze politiche, ambedue rappresentanti dell’establishment europea nel nostro paese, sono i veri responsabili dell’aumento vertiginoso del debito greco. Diciamolo chiaramente: nemici esterni e interni hanno attorcigliato la domanda del referendum nel tentativo di ottenere il tanto voluto, per loro, «sì».

Non a caso hanno preannunciato la sovversione di un governo eletto democraticamente – e lo sottolineo ancora – in un paese libero, per sostituirlo con un governo di tecnocrati e «yes-men».

Il loro progetto si muove nella zona grigia tra un colpo di stato interno e un’ intervento esterno contro uno stato democratico e indipendente. A noi tocca impedire la realizzazione di questo progetto, votando un chiaro «no».

Che ne pensi di quegli intellettuali e universitari che si sono schierati a favore del «sì»?

È vero che alcuni miei colleghi votano per il «sì». Credo che sono stati convinti dalla retorica delle «istituzioni» e dell’opposizione, secondo i quali il «no» equivale all’uscita dall’euro. In questo ambito, credono di difendere l’Europa e il suo patrimonio culturale. Il «sì» degli intellettuali non è un «sì» alle proposte dei creditori ma una risposta alla domanda immaginaria e falsa «dentro oppure fuori dall’Europa». Ma il premier greco non ha mai detto che la Grecia potrebbe uscire dall’ eurozona. Anzi, insiste che il nostro paese, il paese dove è nata la democrazia, fa parte dell’Unione europea.

Una vittoria del «no», oppure del «sì», sarà comunque una vittoria di Pirro sostengono alcuni analisti. Come sarà il giorno dopo il referendum per il governo greco?

Il giorno dopo troverà il governo di Alexis Tsipras ancora più forte, perché in ogni caso è riuscito a resistere a chi tentava di ottenere le sue dimissioni.