E’ un reato che non esiste, eppure non c’è praticamente giorno che non venga commesso. Quando va bene volano insulti, più o meno volgari, rivolti alla vittima in strada ma anche nelle aule scolastiche, nelle palestre, nei posti di lavoro, allo stadio e in tutti quei luoghi dove il branco si sente forte e impunito. Quando va male a volare sono invece calci e pugni, a volte in maniera addirittura mortale. Secondo un dossier messo a punto dall’Arcigay sono almeno quattro le persone negli ultimi dodici mesi uccise o spinte al suicidio per il loro orientamento sessuale. Perché nell’Italia che a fatica e dopo trent’anni riesce ad approvare una legge sulle unioni civili una persona può anche morire perché omosessuale o transessuale. E se non muore, viene comunque aggredita, offesa, umiliata.
Nell’ultimo anno, da maggio dell’anno scorso a oggi sempre secondo l’Arcigay – che ieri ha presentato i risultati dello studio in occasione della giornata internazionale contro l’omofobia – nel nostro paese si contano 104 episodi di omotransfobia, un conto fatto principalmente sulla base degli articoli di giornale e che quindi si può considerare come la punta di un iceberg. «Di omofobia e transfobia in Italia si muore ancora», conferma il segretario nazionale di Arcigay Gabriele Piazzoni. «Non solo: le persone lgbt sono socialmente fragili, esposte a pericoli peculiari della loro condizione: bersagli privilegiati di rapine, pestaggi, stupri. E quando sono costrette a nascondere il proprio orientamento sessuale diventano bersagli di ricatti ed estorsioni».
«E’ inaccettabile che l’orientamento sessuale diventi il pretesto per offese e aggressioni», ha detto ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella celebrando così la giornata contro l’omofobia e la transfobia. «Sulla capacità di respingere ogni forma di intolleranza si misura la maturità della nostra società», ha proseguito il capo dello Stato. Parole sacrosante, che il Quirinale dovrebbe però rivolgere soprattutto al parlamento dove la legge sull’omofobia è è ferma al Senato dal 2013 dopo essere stata approvata dalla Camera. E dove giace in commissione Giustizia sepolta da migliaia di emendamenti. Ieri i senatori Pd Sergio Lo Giudice e Giuseppe Lumia hanno chiesto alla presidenza della commissione di riprendere al più presto la discussione sul testo di legge. Che molti senatori vorrebbero modificare almeno in un punto, là dove è previsto che non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, le opinioni espresse all’interno di organizzazioni politiche, sindacali, culturali, sanitarie o religiose.
Difficilmente il ddl vedrà la luce in questa legislatura. Sia perché, al di là delle tante dichiarazioni di circostanza di ieri, in questi mesi la maggioranza dei parlamentari si è guardata bene dal mettere mano alla legge. Sia perché in caso di modifiche, il testo dovrebbe tornare alla Camera per una terza lettura. Nel frattempo in Italia si potrà tranquillamente continuare a discriminare le persone lgbt, contando anche su fatto che solo una piccola parte delle violenze commesse verrà denunciata. Stando infatti a un altro rapporto, presentato questa volta dal Gay Center, tra i giovani con meno di 25 anni vittime di omofobia solo 1 su 20 pensa di poter denunciare una violenza subita, percentuale che sale a 1 su 10 per le persone con più di 30 anni.
«Inoltre – spiega il portavoce di Gay Center Fabrizio Marrazzo – la parola “omofobia” non compare quasi mai nelle denunce, perché il reato non è previsto dalla legge e quindi in sede di denuncia viene solitamente scritto altro». Nei suoi dieci anni di attività Gay Help Line, la linea verde antiomofobia, ha raccolto le richieste di aiuto di 200 mila persone e di queste almeno il 30/40% ha denunciato episodi di violenze fisiche o verbali subite. Chi chiede aiuto, prosegue Marrazzo, lo fa per varie ragioni: per chiedere un aiuto sostegno psicologico, legale o medico. Oppure consigli su come fare coming out, come comunicare alla famiglia e agli amici le proprie scelte sessuali, ma anche per chiedere informazioni sulle malattie sessualmente trasmissibili. Infine per chiedere assistenza legale per i casi di violenza e discriminazione.