Sbiadito il ricordo dei miti «terzomondisti», della rivoluzione cubana, del Che e delle guerriglie degli anni Settanta e Ottanta del Novecento, l’America Latina è tornata negli ultimi anni a esercitare una potente influenza sugli immaginari dei movimenti radicali europei. Le grandi rivolte contro il neoliberalismo a cavallo del nuovo secolo, in Messico, in Ecuador, in Bolivia, in Argentina, hanno rappresentato riferimenti essenziali per il movimento «altermondialista», che ha avuto del resto a Porto Alegre, in Brasile, uno dei suoi luoghi di incontro più importanti. I governi «popolari» che in molti Paesi si sono formati nello spazio aperto da quelle rivolte hanno poi configurato a livello regionale un ciclo politico che è sembrato costituire l’unica vera esperienza di successo di ricostruzione di un’alternativa di «sinistra» in questo scorcio iniziale del XXI secolo. Molte sono, evidentemente, le differenze tra le prospettive e le politiche di questi governi: ma forte è stata l’impressione determinata proprio dalla dimensione regionale, sub-continentale, del loro ciclo. In particolare nell’Europa meridionale, l’America Latina è così divenuta una fonte di ispirazione per forze politiche di sinistra o di alternativa radicale al sistema politico ed economico esistente. Il caso di Podemos in Spagna è senz’altro quello più significativo in questo senso, ma non è l’unico (anche all’interno di Syriza le esperienze dei governi «popolari» latinoamericani sono state ampiamente discusse negli ultimi anni).

La razionalità neoliberale

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Un libro di Ernesto Laclau, La ragione populista (Laterza), ha giocato un ruolo molto importante in questo contesto, contribuendo a orientare il modo in cui queste esperienze sono state recepite e tradotte in Europa, anche attraverso formule come «ritorno dello Stato» e «post-neoliberalismo», molto usate nello stesso dibattito latinoamericano. Nel libro La razón neoliberal, Verónica Gago (ricercatrice e docente argentina. Dopo l’edizione argentina il volume è stato pubblicato anche in Spagna: a quando la traduzione italiana?) assume un punto di vista critico nei confronti di questa posizione, senza tuttavia in alcun modo aderire alle più diffuse critiche tradizionalmente «di sinistra» nei confronti dei governi «popolari» latinoamericani degli ultimi anni. Se infatti riconosce a Laclau il merito di aver criticato a fondo la tesi della necessaria «irrazionalità» dei comportamenti popolari, sottolinea anche con forza le trasformazioni materiali che si sono prodotte nella società latinoamericane per via dell’azione combinata dei movimenti e delle lotte sociali e di governi comunque molto diversi da quelli precedenti.

Gago interviene in modo estremamente originale nei dibattiti che negli ultimi vent’anni si sono svolti attorno alla categoria di neoliberalismo. Rifiutando la sua riduzione a un insieme di politiche macro-economiche imposte «dall’alto», di cui sarebbe appunto possibile liberarsi attraverso l’«occupazione» e il «ritorno dello Stato», afferma con sicurezza un diverso punto di vista: quello che collega in modo molto stretto il neoliberalismo con trasformazioni profonde intervenute all’interno del modo di produzione capitalistico, in America Latina non meno che ad altre latitudini. Il neoliberalismo le appare come una specifica «razionalità», nel senso attribuito al termine da Michel Foucault, dunque come una forma di «governamentalità» che occorre indagare e criticare anche «dal basso», guardando cioè ai processi di soggettivazione, ai comportamenti quotidiani in cui si traduce. Da questo punto di vista, Gago si colloca all’interno di una corrente interpretativa del neoliberalismo che ha avuto negli ultimi anni una certa fortuna nei dibattiti critici: si possono ad esempio ricordare gli studi di Wendy Brown negli Stati Uniti e quelli di Pierre Dardot e Christian Laval in Francia.

E tuttavia, se lo si mette a confronto con questi lavori pur importanti, La razón neoliberal presenta ancora una volta aspetti di grande originalità: immerse nella materialità delle «economie barocche» e della «pragmatica popolare» latinoamericane, felicemente «ibridate» attraverso gli apporti di altre correnti di pensiero critico (dallo spinozismo al femminismo e al postcolonialismo, per non menzionarne che alcune), le categorie foucaultiane perdono la rigidità talvolta soffocante che assumono in molte analisi contemporanee e si aprono al «contrappunto» di una molteplicità di resistenze e linee di fuga. Lungi dall’assumere tratti totalizzanti, in altri termini, la «razionalità» e la «governamentalità» neoliberale vengono analizzate dal punto di vista dei modi in cui sono «appropriate, distorte, rilanciate e alterate da parte di coloro che in teoria dovrebbero essere semplicemente le loro vittime».

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«Economie barocche» e «pragmatica popolare»: sono le categorie centrali per la ricerca di Gago, su cui è bene spendere qualche parola, non prima però di avere almeno. Al centro dell’analisi è qui La Salada, un gigantesco mercato (il più grande mercato «illegale» dell’America Latina, come è stato definito) situato sul confine tra la città di Buenos Aires e la sua provincia: nato negli anni Novanta su iniziativa di un gruppo di migranti boliviani, è cresciuto a dismisura dopo la crisi del 2001, collegandosi in vari modi a nuove reti economiche informali sorte in Argentina. La Salada è un «territorio migrante» e a tutti gli effetti una zona di frontiera: assumendolo come riferimento, Gago propone un esercizio a tratti vertiginoso di «contro-cartografia». Analizza in primo luogo i rapporti che stringono La Salada con le villas (gli slum) e con i laboratori tessili «clandestini» dove vivono e lavorano molti dei migranti che popolano il mercato, ma si sofferma anche sulle connessioni che il movimento delle merci e la migrazione di donne e uomini definiscono tra La Salada e altri luoghi in America Latina.

È una vera e propria «globalizzazione dal basso» quella di cui Gago ci restituisce il profilo. La categoria di «economie barocche» è qui essenziale per mettere in evidenza il carattere ambivalente dei fenomeni al centro dell’indagine. Nel solco aperto dal fondamentale lavoro del filosofo ecuadoriano Bolívar Echeverría, il «barocco» si presenta da una parte profondamente intrecciato a una lunga storia di pratiche indigene e popolari di resistenza; mentre dall’altra si presta a nominare la profonda eterogeneità delle forme di attività economica su cui si basano oggi in America Latina la valorizzazione del capitale e la persistente realtà dello sfruttamento.

Mobilitazioni comunitarie

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Lo spazio della Salada, in questa prospettiva, è precisamente tanto uno spazio di resistenza quanto uno spazio di sfruttamento. «Micro-economie proletarie», materialmente costruite nell’esperienza della migrazione, si intrecciano qui con forme spesso estremamente violente di coazione al lavoro, che mobilitano risorse «comunitarie» non diverse da quelle su cui fanno leva i processi di resistenza.

Analizzare questo spazio costitutivamente ibrido attraverso l’angolo prospettico offerto dal concetto di «pragmatica popolare» consente a Gago di mettere in evidenza il tessuto di conatus (ecco il riferimento spinoziano) che lo innerva: le «spinte» molteplici e spesso contraddittorie attraverso cui soggetti «subalterni» negoziano la razionalità neoliberale che presiede alle operazioni mercantili, tentano di piegarla ai propri progetti strategici, ne risultano certo talvolta oppressi quando non schiacciati senza tuttavia ridursi mai a occupare passivamente la posizione di «vittime».

La formula «neoliberalismo dal basso», introdotta in questo libro, è al centro di vivaci discussioni in particolare in Argentina, non ha certo come obiettivo quello di attribuire ai settori popolari una qualche «responsabilità» da questo punto di vista: punta piuttosto a indicare la rilevanza strategica di settori di attività economica (spesso definiti come «informali») che le retoriche «neo-sviluppiste» dei governi «popolari» tendono sistematicamente a occultare. E al tempo stesso sottolinea la determinazione conflittuale, l’ambivalenza costitutiva dei comportamenti e della «razionalità» che prevalgono all’interno di questi settori, i quali – lungi dall’apparire come «marginali», destinati a essere «riassorbiti» dall’incedere dello «sviluppo» e delle politiche di «inclusione sociale» – sono piuttosto luoghi strategici di sperimentazione di forme di lavoro, di valorizzazione, di regolazione che riverberano i loro effetti sulla società nel suo complesso. Lo stesso confine tra attività e lavoro, come l’autrice mostra in particolare dall’interno dei dibattiti femministi (un riferimento importante è la riflessione di Raquel Gutiérrez Aguilar), è continuamente sollecitato e messo in discussione da processi di mobilitazione totale e messa a valore delle energie produttive che rappresentano le forme contemporanee della proletarizzazione.

Emerge così nitidamente la peculiarità della prospettiva critica delineata da Gago nei confronti dei governi «popolari» latinoamericani: le retoriche «neo-sviluppiste», ricollegandosi a progetti di sostituzione delle importazioni attraverso industrializzazione e costituzione di mercati nazionali, sono in plateale contraddizione da una parte, come viene spesso sottolineato, con il ruolo essenziale della «rendita estrattiva» (e dunque con il persistente vincolo con i mercati globali in cui vengono «quotate» e scambiate le materie prime), dall’altra con l’espansione delle «economie barocche», da cui dipende la riproduzione materiale della vita di milioni di donne e uomini. Se è vero che sono così indicati i due poli attorno a cui si determina la persistenza, in nuove forme, del neoliberalismo, è anche vero che, osservato «dal basso», questo neoliberalismo appare strategicamente mutato, «alterato» nella sua natura da un «pragmatismo popolare» nella cui filigrana sono pienamente visibili i segni del protagonismo, delle lotte, della conquista di potere e spazio da parte dei soggetti «subalterni» negli ultimi anni.

La ricerca dell’autonomia

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Lungi dal rappresentare una mera «ideologia», il neoliberalismo si presta dunque a indicare alcuni caratteri fondamentali del capitalismo contemporaneo, mentre la sua critica riqualifica l’antagonismo fondamentale che lo segna e lo costituisce. La stessa persistenza, in forme mutate, del neoliberalismo all’interno di Paesi come quelli latinoamericani con governi «popolari» va interpretata in questo senso: mostra cioè il limite di progetti politici che puntano esclusivamente sul «ritorno dello Stato» per riqualificare la democrazia o per avviare la transizione verso il «socialismo del XXI secolo». E impone di ripensare il ruolo costitutivo e l’autonomia delle lotte sociali anche nelle condizioni determinate dalla presenza di governi «popolari».

Pensato e scritto all’interno della congiuntura argentina e latinoamericana, il libro di Verónica Gago ben si presta del resto a una lettura felicemente «strabica»: il suo oggetto ha certo caratteri di specificità, ma l’analisi qui condotta non manca di produrre effetti di risonanza con le condizioni prevalenti in altre regioni del mondo, e in particolare nei Paesi mediterranei dell’Europa. E questo non vale soltanto per la ricchezza dei riferimenti teorici che vengono mobilitati da Gago: più in generale, le trasformazioni del lavoro e del capitalismo che vengono criticamente indagate, l’enfasi sul rapporto tra queste trasformazioni e le lotte degli ultimi anni, il rilievo assegnato ai movimenti della migrazione, alle pratiche delle donne e ai comportamenti di soggetti collocati sul mutevole confine tra lavoro e non lavoro individuano tendenze generali che anche nei nostri Paesi appaiono del tutto dispiegate, pur assumendo forme specifiche da quelle qui analizzate nello specchio delle «economie barocche» latinoamericane.