«I diritti non sono a compartimento stagno ma sono interconnessi, interdipendenti e indivisibili». O non lo sono. Ha ragione Patrizio Gonnella, presidente della neonata Coalizione italiana Libertà e diritti civili (Cild) che ieri ha tenuto il suo primo congresso nella sala Caprinichetta di Piazza Montecitorio. Un soggetto resosi necessario per tentare un salto di qualità nelle campagne di advocacy che decine di associazioni e ong praticano ormai da decenni ma in modo forse troppo frammentato, e che entra immediatamente a far parte dell’European Liberties Platform (ELP), il network europeo di ong istituito con il sostegno della Open Society Foundation fondata da George Soros, principale filantropo delle lotte per i diritti umani. Decine già le associazioni che aderiscono a Cild: da Antigone a LasciateCientrare, da Parsec a 21 Luglio, dall’Arcigay alla Luca Coscioni, dalla Società della Ragione al Forum droghe, dall’Arci a Certi Diritti, e poi ancora Cittadinanzattiva, Lunaria, Associazione nazionale Stampa interculturale, Diritto di sapere e molte altre.

Organizzazioni che hanno sperimentato tutti i limiti e le potenzialità delle campagne nazionali in favore dei diritti civili, in un Paese dove questi sono stati troppo a lungo subordinati, anche nel pensiero politico della sinistra, ai diritti sociali, come ha sottolineato il senatore Pd Luigi Manconi. Eppure, vale la pena ricordarlo, siamo il Paese dei Cie dove i migranti possono rimanere senza limiti di tempo ma non possono entrare i sindaci, dei giovani italiani che sono considerati immigrati perché i loro genitori hanno fatto il viaggio, delle carceri peggiori d’Europa, della legge sulle droghe illegale, degli agenti di polizia non identificabili dai cittadini, della tortura che non è reato, degli sgomberi e dei campi «nomadi» costati al comune di Roma in cinque anni 60 milioni di euro (59.718.107) dove sono confinate 7 mila persone rom e sinti mai state «nomadi». Il Paese dove non si può scegliere come morire, né quando e come procreare, della ricerca scientifica limitata, della libertà di stampa minore che in Ghana, Romania o Niger. Il Paese dove è ancora possibile essere rinviati a giudizio per un bacio omosessuale con l’accusa di «disturbo alla quiete pubblica», come è successo a Perugia, secondo l’interrogazione parlamentare presentata dal deputato di Sel Alessandro Zan, con un bacio, anzi i baci, volutamente consumati in pubblica piazza tra tre coppie di attivisti per i diritti lgbti, alcune sposate all’estero, che avrebbero a tal punto «disgustato i passanti» da dover far intervenire gli agenti della Digos.

Ecco, in un Paese così, come spiegano i rappresentanti di Human Right Watch e Amnesty international, «senza attivisti locali che lottano, denunciano e tentano di incidere sulle leggi e sulla cultura nazionale, noi organizzazioni internazionali non possiamo fare molto». Eppure, ricorda Aryeh Neier, ex direttore dell’American Civil Liberties Union e di Hrw, e presidente della Open Society Foundations, in tutto il mondo si sta ancora aspettando quell’«età d’oro per i diritti civili» che ci si aspettava si sarebbe «aperta dopo la caduta del muro». Per esempio, racconta Neier davanti a una sala stracolma perfino di giovanissimi, soprattutto studenti del liceo Virgilio che hanno presentato un lavoro encomiabile, «nel mio Paese, gli Usa, viviamo un’isteria nazionale dovuta a pochissimi e isolati casi di Ebola che ha portato a pratiche discriminatorie delle persone provenienti dall’Africa occidentale. E in Russia Putin sembra essere intenzionato a chiudere due delle principali ong per i diritti umani che sono sopravvissute alla fine dell’Urss». Per questo motivo solo lavorando in rete a livello mondiale si può rendere più efficace la tutela dei diritti umani. «Nel creare questa coalizione in Italia – conclude Neier – non solo riuscirete a rafforzare la lotta nazionale ma in sinergia con altre organizzazioni europee porterete questa battaglia a un livello superiore».

D’altronde che i tempi siano maturi, ripetono alcuni dei relatori, lo si capisce dal fatto che pur nella tenaglia della crisi economica l’attenzione pubblica ai diritti individuali non diminuisce. Anzi. Attenti però, ammonisce Eligio Resta, filosofo del diritto dell’università Roma 3, (che interviene dopo il sottosegretario Ivan Scalfarotto, il ministro plenipotenziario Gian Ludovico de Martino, presidente del comitato interministeriale per i diritti umani e il delegato del sindaco di Roma, Silvio Di Francia), a pensare che in questa era di «forte predominanza della sfera pubblica» i diritti civili possano essere slegati dai diritti sociali, «dal dovere degli Stati». Il lavoro è tanto, soprattutto culturale. Si dovrà riportare l’attenzione sulle parole a cominciare dal concetto di libertà, esorta ancora Resta che suggerisce di prendere a prestito quel «canto della legge» che è il preambolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 in cui si celebra la «libertà dalla paura e dal bisogno». «Vorrei – conclude il professore – che diventasse il grido di battaglia di questa Coalizione».