Al Cairo fervono gli incontri diplomatici (oggi è atteso anche il premier italiano Matteo Renzi). Ma non si parla di Gaza. Il file sul tavolo dell’ex generale Abdel Fattah al-Sisi riguarda prima di tutto la Libia.
Il paese preoccupa i militari egiziani più del conflitto israelo-palestinese: il confine poroso tra Egitto e Libia e gli interessi economici del Cairo a Tripoli sono costantemente in pericolo con l’inasprirsi della crisi. Nella fugace campagna elettorale per le presidenziali in Egitto del maggio scorso, il golpe dell’ex generale Khalifa Haftar era tra i temi più discussi. Sisi si era detto intenzionato a dare il suo sostegno al militare per stabilizzare il paese, sul modello dell’allontanamento dalla scena politica dei Fratelli musulmani, perseguito in Egitto.

E così, mentre Bengasi sembra in mano ai jihadisti, Haftar è sbarcato al Cairo. Secondo la stampa locale, sarebbe una ritirata «tattica», foriera di una futura controffensiva sponsorizzata dal Cairo. Il quotidiano in lingua araba con sede a Londra al-Hayat ha aggiunto che Haftar ha lasciato la Libia via terra, per passare le feste di fine Ramadan con alcuni familiari. L’analisi di al-Hayat riconduce le difficoltà di Haftar a tenere le posizioni a Bengasi all’abbandono da parte delle tribù orientali libiche che avrebbero obbedito a un appello a porre fine i combattimenti, lanciato da Mustafa Abdel Jalil, ex presidente del Consiglio nazionale transitorio.

L’arrivo di Haftar in Egitto ha coinciso con la conquista delle basi militari del capoluogo della Pirenaica da parte dei jihadisti. «Aspettatevi una grande operazione militare nei prossimi giorni», ha assicurato il portavoce di Haftar, Mohamed Hegazi. Il militare ha smentito che le milizie abbiano il controllo di Bengasi e ha confermato che l’esercito tornerà per cacciarle. Haftar ha assicurato che i militari a lui vicini controllano tutti i palazzi delle istituzioni ed ha aggiunto che fra i miliziani islamici vi sono «combattenti stranieri».

I miliziani di Ansar al-Sharia avevano annunciato mercoledì di aver preso Bengasi. Dall’inizio della settimana i jihadisti avevano lentamente conquistato le basi militari delle forze speciali, presenti nel capoluogo della Cirenaica. Tuttavia, ieri sono stati segnalati caccia militari nei cieli di Bengasi. La stampa locale riferisce di «batterie anti-aeree entrate in azione», come reazione dei miliziani al passaggio dei velivoli. Mentre sarebbero in corso bombardamenti nei pressi di Ajdabiya, a sud-ovest di Bengasi.

Mentre proseguono le manovre egiziane ai confini libico e tra Libia e Tunisia. La frontiera occidentale con la Libia (Salloum) è stata chiusa.

Sono decine i morti egiziani negli scontri di Tripoli e Bengasi, a conferma della presenza massiccia di cittadini egiziani in Libia, non solo operai e commercianti, ma anche direttamente coinvolti nella faida tra milizie, vicine a militari o jihadisti, che dilania il paese dalla primavera scorsa. Ufficiali egiziani hanno arrestato 290 egiziani mentre tentavano di rientrare in Egitto dalla Libia senza documenti.

Secondo i doganieri di Salloum, i cittadini egiziani sono stati accusati di aver tentato di «accedere a zone militari». Tuttavia, il governo egiziano ha confermato di aver inviato in Libia aerei della compagnia di bandiera Egyptair, per evacuare centinaia di egiziani verso la Tunisia.

Sul fronte tunisino, solo ieri, due cittadini egiziani sono morti a Ras Jedir uccisi da colpi di arma da fuoco sparati da guardie di frontiera libiche nel tentativo di disperdere un nutrito gruppo di egiziani che tentava di forzare un posto di blocco.

Sono centinaia poi gli stranieri ammassati al confine con la Tunisia. E non si placa neppure il flusso di stranieri che tentano di lasciare il paese via mare. Traghetti e navi militari hanno evacuato 200 greci, 13mila filippini e centinaia di cinesi. Resta aperta l’ambasciata italiana, ma degli 800 connazionali presenti nel paese, solo 241 (principalmente a Tripoli) sono ancora nel paese.

A Tripoli sono ripresi gli scontri tra miliziani di Zintan, vicini ad Haftar, e i jihadisti, Scudo di Misurata, per il controllo dell’aeroporto internazionale, andato completamente distrutto. Come confermato da fonti diplomatiche, negli scontri nelle due principali città libiche sono oltre 200 i morti e 400 i feriti, nelle ultime due settimane. Con lo scalo di Tripoli nel caos, i servizi di sicurezza di Tunisia, Algeria e Marocco hanno lanciato un allarme per possibili attentati sulle loro città con gli aerei civili in mano alle milizie armate, tanto da far innalzare lo stato di allerta in diversi aeroporti internazionali.

Con l’aggravarsi della crisi, l’assemblea eletta lo scorso 25 giugno, con scarsa partecipazione popolare, e a maggioranza laica, potrebbe anticipare il suo insediamento a oggi nella città di Tobruk, a 200 chilometri a est di Bengasi.