Con Mattia Torre e qualche altro amico, nel lontano 2002, inventammo un gioco stupendo che chiamammo pleonasticamente «il gioco dei bigliettini»: un gioco con parole, conto alla rovescia e mimo. È una tra le cose più divertenti che io abbia mai fatto in vita mia. Il periodo in cui giocammo con regolarità una volta a settimana (durato più o meno un inverno e una primavera) legò i partecipanti, che all’inizio si conoscevano a malapena, in maniera duratura e profonda, come essere stati schiavi in uno stesso campo o dipendenti dalla stessa droga, riuscendo a disintossicarsi solo col corpo e non con la mente. Così, da ex tossici, ci rivediamo oggi per raccontarci delle cose, mangiare un sushi e, non a caso, approfondire il vizio capitale della gola.
Questa la definizione del dizionario: «La gola è il desiderio di ingurgitare più di quanto l’individuo necessiti. È l’ingordigia di cibi e bevande, condannata sia in quanto esempio di sfrenatezza e di lascivia al posto della modestia e del controllo di sé, sia come ingiustizia sociale in contrapposizione ai poveri che soffrono la fame». Quanto pecchi (o hai peccato nella vita) di questo vizio?

Io senz’altro perché sono un buongustaio, ma mi ha sempre fatto ridere questo peccato su scala nazionale, perché non solo è un grande vizio collettivo, ma è anche un grande anestetico sociale, a noi ci va bene tutto ma ci devono lasciare il cibo. Mi sembra che in fondo in Italia mangiamo per difenderci, forse persino per contrattaccare. Il cibo è la nostra ossessione monotematica, lo è sempre stato, temo lo sarà per sempre.
(Il cameriere: «Adesso arriva il riso». Mattia: «Olè»).

Ma tu abusi?

Beh adesso sono molto più controllato, comunque sono un appassionato, mi piace cucinare, mi piace mangiare, mi piace bere, quindi sì, in questo rientro un po’ nella casistica… Bello dirlo mangiando, appunto. Soprattutto sono un appassionato di ristorazione, nel senso che ormai mangio in pochissimi posti scelti, anche perché leggendo qua e là ti rendi conto di quanto la ristorazione sia un fenomeno complesso ma anche marcio, per cui tu puoi mangiare malissimo in posti che sembrano decenti, e anzi persino costosi e prestigiosi, e viceversa. Invece trovo che la ristorazione, fatta bene, sia un mestiere altissimo, e anche un bellissimo vivere.

«… Che per misteriose ragioni che forse si legano ai ricordi della guerra – di questa guerra che a noi c’ha veramente rovinato – noi che siamo questo paese a cui piace mangiare, questo paese vitale e virile che quando c’è da mangiare mangia, senza troppe storie, questo paese che semplicemente mangia più di tutti gli altri paesi del pianeta, che nessun altro paese al mondo mangia più di noi… Perché questo è nei fatti per noi lo svantaggio della guerra, non tanto la morte non tanto le bombe … quando c’è la guerra il problema vero è che si mangia poco e male …». Questi sono degli stralci del geniale monologo, dal titolo per l’appunto «Gola», che hai scritto nel 2005 per Valerio Aprea, compagno di strada e bravissimo attore: cosa ti ha ispirato allora e perché hai pensato di scriverlo?

L’Italia ha una speciale ossessione per il cibo, siamo l’unico paese che ha antipasto primo e secondo, tutti gli altri paesi del mondo hanno un’entrata e poi hanno un piatto unico, forse un contorno, nessuno immaginerebbe mai di fare primo e secondo, una cosa folle, poi arrivano i formaggi, poi la frutta eccetera, è chiaramente una violenza, e poi appunto con la nostra grande ricchezza e pluralità regionale, addirittura provinciale, abbiamo mille espressioni di gastronomia, di enogastronomia, mille sfumature, credo che ci sia qualcosa di profondo e di oscuro in tutto questo, cioè il nostro modo di mangiare è aggressivo (ride), ha qualcosa di oscuro e di pericoloso e questo secondo me è anche molto comico. Motivo per cui ho iniziato a cazzeggiare sul tema.

Ti consideri uomo di eccesso o di moderazione?

Io sono uomo di eccesso ma subisco il fascino della moderazione, mi piacerebbe nell’arco di un pasto bere mezzo bicchiere di vino, invece bevo una bottiglia. (Rido, conoscendolo so che dice il vero)

Nel sesto canto della Divina Commedia, Dante Alighieri posiziona nella terza cerchia dell’Inferno i peccatori di gola, costretti ad ingoiare la fanghiglia generata da una incessante pioggia fredda e nera. Immagineresti qualcosa di diverso, di meno intransigente?

Questo non lo so, non voglio immaginare punizioni… Ma come dicevamo la passione per il cibo può avere qualcosa di deteriore… Uno dei peccati che la passione per il cibo si porta dietro è l’indifferenza, l’indifferenza per il resto del mondo, mangio, sono a tavola e non mi frega niente di niente, tutto può andare in malora, la politica, la nostra vita collettiva… Questo è raggelante, e mi fa pensare alla gastronomia come un incubo.

Ho difficoltà a reputare il piacere di mangiare un peccato capitale. Mi sembra piuttosto che la Chiesa Cattolica abbia riversato dentro questo vizio un giudizio negativo per il piacere terreno, trasformando un aspetto benefico della vita – il nutrimento – in qualcosa di cui pentirsi per l’eternità. Che ne pensi?

A me sembra piuttosto che la Chiesa ci lasci mangiare per occuparsi di altro. Voi mangiate, del sacro, e anche di altro, ci occupiamo noi.

Ti faccio una citazione: «Solo gli imbecilli non sono ghiotti… Si è ghiotti come poeti, si è ghiotti come artisti…». Lo dice Guy de Maupassant. Che ne pensi?

Il nutrimento è facilmente estendibile a tanti ambiti ed è un’espressione della vita, del godimento, della felicità, dellla convivialità e della condivisione. Come ogni cosa ha un lato oscuro che va gestito: anche la creatività è così.

Si può essere golosi di qualcos’altro che non sia il cibo? 

Io sono goloso di tutto; per me la golosità, per riprendere Maupassant senza sapere di farlo, è l’interesse attivo per le cose della vita, per la bellezza, le sorprese, per tutto ciò di cui appunto ci si può nutrire.

Ne «Il senso della vita» dei Monty Python non si può dimenticare la scena più esilarante e disgustosa insieme del signore obeso al ristorante che, dopo un pasto di decine di portate, accetta la mentina finale e un secchio per vomitare a spruzzo inondando la sala.

Anche in l’Inghilterra esiste un popolo di mangiatori eccessivi come da noi? Oppure era solo una gag per scandalizzare l’impettito spettatore british?
La scena di cui parli mi sembra più una grande gag che si pianta nell’immaginario collettivo, ambientata in un ristorante poi scicchissimo se non mi sbaglio…Beh se uno pensa che bisognerebbe considerare il cibo come mezzo e non come fine, l’Italia al contrario vive il cibo come un fine, l’obiettivo finale è stare male, mangiare fino allo stordimento. E poi da qui sembra non possa esistere altro paese dove mangiare bene… C’è un passaggio di Gola che diceva di essere molto prudenti con le cucine di altri paesi: «he noi comunque anche con le cucine di altri paesi abbiamo tutta una particolare diffidenza, al limite una sera possiamo provare a mangiare esotico ma sia chiaro non come pasto bensì come gioco, in una botta di goliardia, come a dire ‘vabbé stasera facciamo ’sta pazzia’ è infatti sono in moltissimi a sostenere che si può mangiare sì giapponese, ma mai a stomaco vuoto».
Chiudiamo così. Piaciuto il pranzo? Occhiolino. (Ho volutamente omesso di confessare a Mattia che uno sparuto gruppo di superstiti della sessione di «bigliettini» del 2002 ha ricominciato a giocare, solo saltuariamente ma con gran godimento: quale vizio avrò peccato? Ai posteri l’ardua sentenza).