«Ieri sera, subito dopo la conferenza stampa, sono andato a Creta per il comizio finale a Heraclion. È stato incredibile. Se quello che ho visto in piazza nella più grande isola greca, storica per la sua epopea resistenziale, si traduce davvero in voti, allora vuol dire che abbiamo fatto davvero il pieno. Credo che la principale differenza fra queste elezioni e quelle del 2012 sia proprio lo spostamento che si è verificato nella provincia. Nella grande regione di Atene siamo sempre stati forti, ma fuori fino ad oggi non avevamo altrettanta adesione».

Così mi dice Alexis Tsipras, mentre stiamo chiacchierando in una pausa pranzo, nel giorno della vigilia, quando la campagna elettorale è chiusa e il leader di Syriza si concede un momento di normalità.

Sfogliamo assieme i giornali greci e sorridiamo: il quotidiano conservatore più autorevole, il Corriere della sera locale, To Vima, porta in prima pagina una piccola foto di Samaras (che venerdì ha concluso piuttosto melanconicamente la sua campagna elettorale) collocata in alto, quasi solo una striscia. A tutta pagina, invece, c’è l’immagine di Tsipras, sormontata da un titolo che dice: «I piani per i prossimi giorni».

Ecco: Tsipras viene già intervistato come capo di governo. Ai suoi programmi To Vima dedica una intervista di ben quattro pagine, dove si dice nel sommario: «Alexis parla del governo, del presidente della Repubblica,della Troika, della Merkel, delle banche». «Un vento di cambiamento e speranza». E, ancora: «Vogliamo costruire un’altra relazione con la Germania». Ancora ieri To Vima aveva ospitato una dichiarazione di Samaras in cui il capo del governo annunciava che se Syriza avesse vinto le elezioni la Grecia sarebbe diventata come la Corea del nord.

A guardare la stampa la vittoria sembra già consacrata. Deferenti i fino a ieri più offensivi giornalisti di Atene ora lo attorniano e, anzi, si stringono a lui sorridenti per una foto ricordo.

Nella lunghissima intervista di To Vima c’è perfino spazio per un ammiccamento amichevole: «Nel 2030, quando i tuoi due bambini saranno al liceo – chiede il giornalista – e tu sarai ancora parecchio più giovane di quanto siano oggi Samaras e Venizelos (segretario del Pasok), quale Grecia avranno ereditato? Saranno soddisfatti o pronti a occupare le scuole come hai fatto tu negli anni ’90?». «Spero che la generazione dei miei figli, che oggi hanno 3 e 5 anni, sia pronta a fare altrettanto – risponde Tsipras – perché la vita è in movimento e devono esser pronti a cambiare nuovamente tutto».

Non è solo la stampa greca. Anche il Financial Times ad Alexis dedicava ieri una paginona, la sua foto con le braccia alzate in segno di vittoria sovrastate dal titolo: «Radicale o realista?». Si tratta di una ricostruzione dettagliata della vita di Alexis, da quando, sedicenne alunno del liceo Ampelokipoi, conquistò la leadership nella battaglia che, nel 1991, oppose gli studenti greci – 90 per cento delle scuole occupate – al governo di centro destra.

È una storia simile a quella di molti dei nostri paesi europei, salvo che dell’Inghilterra, e il giornalista del Financial Times si muove con qualche ingenuo disorientamento nel raccontarla.

Ma è interessante vedere come scopre che condannare la violenza che emerge dalle frange di ogni movimento non vuol dire non sforzarsi di capirne le ragioni; che si può avere un progetto molto innovatore e di lungo periodo sulla scuola e però contrattare risultati concreti (nel caso della Grecia ottenendo il ritiro della riforma proposta dal governo); che la vita quotidiana delle nostre sinistre è fatta di dissensi che sempre ruotano attorno all’essere troppo estremista o troppo accomodante.

Sono cose che tutti conosciamo. Il punto che sfugge ancora a tutti è come è potuto accadere che qui in Grecia Syriza, con Tsipras alla guida, abbia potuto farcela in così poco tempo a imporsi come il più grande partito del paese. Ci sono le ragioni oggettive, evidentemente. Ma anche una buona dose di ragioni soggettive: su come si è costruito il nuovo soggetto della sinistra greca abbiamo riflettuto tutti troppo poco.

Ne discutevo in questi giorni con vecchi amici e compagni greci: per via della tremenda esperienza delle generazioni precedenti – occupazione fascista e nazista, guerra civile, dittatura, decenni di prigione – anche i migliori uomini della vecchia sinistra (non parlo della pazzia settaria del Kke) avevano interiorizzato il timore del peggio, e per questo mai puntato a vincere, nel timore di una reazione della destra estrema.

La nuova generazione, che è nata dopo la caduta dei colonnelli, è invece finalmente sicura di sé. Punta a vincere, pensa di averne il diritto. Ma non nel senso di Renzi, al contrario riproponendo come logica una propria definita identità. «Sono favorevole ai compromessi perché ho obiettivi realistici – dice Alexis. Ma al tempo stesso – aggiunge – sono molto deciso se so che è necessaria una battaglia».

In questi ultimi due anni ne ha dato la prova.

Gli italiani della brigata Kalimera, intanto, sono in giro a visitare i quartieri dove si è radicata la forza di Syriza mettendosi al servizio dei bisogni della gente devastata dalla crisi. Ne ho incontrato un gruppo nel quartiere di Nea Smirne, in visita a uno dei tanti centri di assistenza medica e farmacistica per chi è rimasto privo di assistenza sanitaria pubblica (almeno 3 milioni). Qui lavorano, da volontari, 30 medici e infermieri, più altrettanti cittadini che sbrigano le pratiche organizzative. Una appassionante e dettagliata descrizione di un’esperienza che prosegue da ormai più di due anni.