È la quantità la prima qualità della natura. Forse si potrebbe sintetizzare in questa formula la lettura matematica che Gaston Bachelard faceva dell’opera di Baruch Spinoza in un testo quasi sconosciuto di una conferenza del 1932 ora riproposto in versione italiana sotto il titolo Metafisica della matematica (a cura di C. Alunni e G. Ienna, Castelvecchi, pp. 76, euro 9). La quantità numerica e geometrica è ciò che rimanendo della stessa qualità moltiplica, divide, espande, ristringe e perciò stesso differenzia il reale.

La matematica, secondo Bachelard, esprime dunque la forza generatrice della natura in virtù della sua immanenza dinamica. Ciò vuol dire che matematica e ontologia si identificano proprio perché insieme escludono che fra esse vi sia una qualche mediazione. Il numero è la qualità dell’essere come la fisica è la quantità della matematica. Bachelard parla di una «fisica matematica» con ciò implicando che la matematica più che una lingua è il linguaggio della materia. Secondo questa prospettiva, la matematica non è una cattiva ma una «buona astrazione» che esprime il modo dinamico e produttivo della materia, della natura e dell’essere.
Sono tali dinamicità e produttività che secondo Bachelard esprimono i caratteri più propri della natura naturans e della natura naturata di cui parla Spinoza. Per Bachelard occorre separare questi principi attivi della natura dal resto che li confonde mettendo a guardia dello scarto i bordi fittivi del nulla. Oltre la scoperta, per Bachelard la scienza è soprattutto ciò che produce il reale. Una nuova rivoluzionaria «noumenologia» che finisce per somigliare, in termini foucaultiani, a una «volontà di sapere», a una macchina che induce fenomeni. Non a caso Bachelard parla di «fenomenotecnica». Se per Kant la perfezione del noumeno era un limite invalicabile alla conoscenza diretta, per il Bachelard degli anni ‘30 invece il noumeno diventa il naturans della natura, il principio produttivo e riproduttivo che permette la conoscenza scientifica.

Ma il dittico spinoziano natura naturans e natura naturata dal quale parte Bachelard non indica soltanto un sistema finito o meglio un sistema che «dobbiamo portare a completamento attraverso la matematica». Altrimenti, anziché a un sistema, la natura verrebbe ad assomigliare a un modello. La natura in Spinoza potrebbe invece essere vista come un finito che ha in sé l’infinito, come un sistema che contiene anche ciò che va oltre i limiti del sistema stesso: «un essere che è, soprattutto, attraverso la sua potenza immanente». Come a dire che si possono vedere nella natura di Spinoza un numero finito di elementi inseparati le cui combinazioni però sono infinite. In tal senso, l’essere, la natura di Spinoza sono analoghi al sistema linguistico. E per ciò stesso anche la «fisica matematica» di Bachelard potrebbe essere paragonata al linguaggio. La questione epistemologica più generale diventa allora: in che misura la matematica è linguaggio? Se la misura la si giudica cospicua, allora non si può ridurre la matematica (e con essa la natura e l’essere) a una ben selezionata serie di congegni che la fanno funzionare, che la inducono a produrre. Come se la matematica ridotta sempre più a algoritmica fosse soltanto un’ingegneria dell’essere.

«Riflettendo sui successi della sperimentazione, ci si accorge che il destino di chiarezza del pensiero umano è un destino attivo. Non appena si comprende, si crea. E viceversa, non appena si crea, si comprende», scriveva Bachelard. Ma quello che negli anni ‘30 Bachelard intendeva per «creazione» della «fisica matematica» è oggi fabbricare. Quello che intendeva con natura naturata è oggi un facere actum: il f-atto che consuma tutta la potenza dell’essere, della natura stessa in natura fattizia. Ben al di là di ciò che Bachelard immaginava negli ’30, la rivendicazione creativa del sapere oggi viene ad assomigliare a una modellizzazione dell’indomabile, a una governance della natura. Benché con molti elementi in comune, tale posizione non coincide esattamente con quelle più fenomenologiche che Bachelard invece sembra assumere più tardi, come quella del suo libro forse più noto e cioè La poetica dello spazio. Anche per questo forse bisognerebbe capire meglio se la strenua volontà di Bachelard di lasciare nel dimenticatoio questo testo che oggi viene ottimamente riproposto abbia a vedere con un forte ripensamento maturato dal filosofo francese al cospetto dell’evoluzione tecnica che anche il sapere matematico e epistemologico era venuto a subire.