Dicevano di aver spuntato almeno «la flessibilità». Ma a giudicare dalle reazioni di Bruxelles sia l’Italia che la Francia rischiano di essere richiamati all’ordine perfino sullo slittamento rispettivamente di un solo e misero anno per il pareggio di bilancio e di due anni per il rientro nei parametri del 3 per cento.

E dietro alle parole appena accennate del neo commissario coordinatore di tutti i principali portafogli economici, il finlandese Jyrki Katainen, si staglia la sagome di Angela Merkel, fedele alla dottrina di un’austerità per niente scalfita dai proclami di Renzi e dal compromesso raggiunto per mettere in piedi la commissione Junker: i patti vanno rispettati alla lettera. E guai a sgarrare.

Se martedì sera era toccato a Pier Carlo Padoan annunciare che a causa delle «circostante eccezionali» – leggasi la crisi che va avanti dal 2008 e che fa sbagliare le previsioni di crescita ad ogni governo – il pareggio di bilancio per l’Italia slitterà dal 2016 al 2017, ieri mattina è stato il neo ministro francese dell’Economia Michel Sapin, l’ex banchiere Rothschild, trasformarsi in paladino antiausterità e comunicare all’Europa intera che la Francia nel 2015 sforerà il 3 per cento nel rapporto deficit/Pil di quasi un punto e mezzo, attenstandosi al 4,4 per cento.

Per i cugini d’Oltralpe, che a differenza nostra non hanno un fardello così grande di debito pubblico sebbene si stiano avvicinando pericolosamente a quota 100%, i margini di manovra e lo smacco fatto ai controllori di Bruxelles sono ancora più grandi: dovevano rientrare sotto il 3 per cento quest’anno, invece lo faranno nel 2017.

L’esecutivo di Bruxelles evita di commentare direttamente le notizie, limitandosi ad un discreto «fino a che non avremo tutti i piani nazionali completi», e cioè il 15 ottobre quando le leggi stabilità di tutti i Paesi dovranno essere recapitate alla Commissione. «Dopo di che faremo le nostre valutazioni e potremo procedere con le previsioni economiche che diffonderemo all’inizio di novembre», ha spiegato il portavoce di Katainen. «Il nostro ruolo è analizzare se i piani di bilancio vanno sulla strada giusta in base agli impegni presi da ogni Paese con i partner in sede di Consiglio», ha concluso, lasciando capire perfettamente che slittamente e sforamenti si configurano come mancati rispetti dei patti e vanno in direzione esattamente contraria.

Il castello di carta costruito sull’ipocrisie che sta per crollare riguarda soprattutto il ruolo del neo commissario agli Affari economici: l’ex ministro dell’Economia francese Pierre Moscovici. Il Pse con in testa Renzi e Hollande aveva accolto la sua nomina come una vittoria: un uomo antiausterità, un keynesiano a giudicare i conti. Ma se la doccia fredda era arrivata poco dopo con la notizia della nomina di Katainen vicepresidente con delega a tutte le questioni di bilancio, da Bruxelles in questi giorni arrivano indiscrezioni sul fatto che lo stesso Junker abbia invece ulteriormente esautorato Moscovici, prevedendo che ogni suo atto sia controllato anche da un altro vicepresidente della commissione, il lettone Valid Dombrovskis, ennesimo falco rigorista che renderà la vita impossibile al socialista francese.

Un “nein” ancora più chiaro alla flessibilità dei bilanci è arrivato direttamentante dalla cancelliera Angela Merkel. Parlando a Berlino alla giornata delle imprese promossa dall’associazione del Commercio all’ingrosso e Commercio estero Bga è stata chiarissima e inequivocabile: «Non siamo ancora al punto in cui si possa dire che la crisi è alle nostre spalle. Per questo è importante per tutti adempiere ai propri impegni e ai propri obblighi in modo credibile. E questo può essere fatto solo dagli stessi Stati membri. Ogni Stato deve fare i compiti per aumentare la propria competitività», ricordando che il patto di stabilità e crescita «si chiama così perchè non può esserci crescita sostenibile senza finanze solide».

A cercare di spronare l’Europa ad abbondare la strada dell’austerità ha provato anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Incontrando ieri a Napoli il direttivo della Bce ha detto: «La sfida numero uno è aprire un nuovo sentiero di forte e sostenibile crescita in Europa». Mentre il ministro Padoan in serata ha rilanciato: «L’area Euro è a un bivio. In assenza di interventi significativi i paesi europei rischiano di avvitarsi in una spirale di stagnazione e deflazione. Una disoccupazione elevata e una crescita nominale piatta rendono più difficili il recupero di competitività e la sostenibilità del debito». Come dire: l’austerità fa male anche ai conti pubblici. Ma è difficile immaginare che Banca centrale e commissione europea asccoltino più loro della Merkel.