I musei storici non hanno mai rappresentato un momento di eccellenza nella politica culturale del nostro paese. A deprimerne ulteriormente le sorti circola adesso l’idea di insediare a Predappio un museo del fascismo, con la complicità del ministro Franceschini e purtroppo dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione, che non meriterebbe di suggellare il suo declino con questa ingloriosa iniziativa.

Non si nega, sia ben chiaro, la necessità che il sindaco di Predappio prenda tutte le iniziative che ritiene opportune per impedire che la località rimanga ostaggio del pellegrinaggio di irriducibili nostalgici. Ma se già per lui sarà difficile, al di là dei migliori propositi, allontanare dalla località il motivo al quale deve la sua fama, ben diversa si prospetta la sorte per una iniziativa di carattere nazionale che dovesse in essa realizzarsi.

L’idea di un Museo del Fascismo, come luogo di rappresentazione a fini di conoscenza di una stagione storico-politica che ha segnato il nostro recente passato e che in parte segna ancora il nostro presente, arriva certamente in ritardo in un paese che si è inspiegabilmente attardato in una discussione spesso insensata su memoria divisa e memoria comune. Chi si richiama a iniziative come quella del Museo del Nazional Socialismo inaugurato un anno fa a Monaco di Baviera sottovaluta che alle spalle di questa iniziativa vi sono stati decenni di vive discussioni che hanno riflettuto l’iter della storiografia tedesca sul nazismo e il percorso di una memoria pubblica che ha accettato di fare i conti con il passato, in un processo che peraltro non è mai venuto meno. Anche per noi prescindere da un processo storico politico-culturale di tale portata sarebbe incomprensibile.

Proprio per questo l’idea di approfittare dell’occasione Predappio per dare luogo ad una iniziativa come quella prospettata appare quantomeno frettolosa e improvvisata. In primo luogo no a Predappio significa svincolare una iniziativa seria dall’ipoteca di una sede che è non solo provinciale ma che rischia di renderla prigioniera del luogo, che resta inevitabilmente evocativo, simbolico e celebrativo e che ad onta delle migliori intenzioni non può non ricondurre ad una visione riduttiva del fascismo come mussolinismo.

In secondo luogo questo rifiuto è un invito a ripensare senza l’urgenza di una scadenza da non perdere ad una iniziativa di cui finalmente si riconosce l’opportunità, ma a condizione che se ne valutino opportunamente la scelta della sede (che non può non essere Roma o Milano) e soprattutto le grandi linee interpretative e i criteri informatori per farne realmente uno strumento di conoscenza critica e di consapevolezza storica e civile.