Al primo tentativo non ci sono riuscita. Sarà perché scrivevo solo su un sito di cinema online, sarà perché era durante un festival in cui proiettava in anteprima il suo ultimo film, ma non si è concesso. E questo mi aveva maldisposto nei suoi confronti: ma come, non eravamo amici? Dopo tutte le nottate a cazzeggio a vent’anni, le chiacchiere in terrazzo fino all’alba, la mia scelta di restare tutto luglio a Roma a preparare come sua assistente volontaria (gratis) un film che, alla fine, non si è fatto mai (scelta che portò conseguenze disastrose nella mia vita privata)… Ora che fa, se la tira pure con me? Poi non ci ho più pensato. Sono fatta così, mi dimentico facilmente le cose non troppo rilevanti. Adesso, nella complicazione della convalescenza polmonitica, ho pensato nuovamente ad Alessandro Piva da intervistare per «Io e te». L’ho chiamato, lui ha accettato, viene addirittura dalle mie parti. Nella scelta del tema dell’intervista, però, ho scelto il vizio capitale della superbia.

 

 

Superbia è, come dicono i dizionari, «radicata convinzione della propria superiorità, reale o presunta, che si traduce in atteggiamento di altezzoso distacco o anche di ostentato disprezzo verso gli altri, e di disprezzo di norme, leggi, rispetto altrui» o fondamentale e basilare orgoglio di sé e consapevolezza del proprio talento nell’ambito prescelto, nel tuo caso il cinema?
In gioventù mi rimproveravano in tanti di essere superbo, probabilmente il mio profilo greco e lo sguardo fiero da antico romano, ellenico, ha portato fuori strada le persone. Ora mi succede meno, sarà perché lo sguardo è appannato, e l’autostima è messa a dura prova dalle epoche moderne: se mai son salito su un piedistallo ci sono sceso. Sono consapevole delle mie capacità ma sono continuamente messo a dura prova dai fatti. Soprattutto sul lavoro… Tutto mi sento fuorché superbo in questo momento della mia vita.

 

 

Peccare di superbia è grave? Nuoce a chi ti sta intorno?
Faccio un mestiere per cui la superbia è quasi considerata parte dell’essere regista, è tollerata, invece cerco di tenermene lontano. Sul set pratico l’ascolto, non voglio apparire come uno stinco di santo ma ascolto, me lo dicono tutti, attori e membri della troupe. Durante Lacapagira è capitato anche di ascoltare il parere dei passanti. Loro si fermavano a osservare la scena e dicevano: «Non succede questo, non si fa così, non è verosimile. Sei il regista ma sbagli». Gli ho dato retta e così alcune delle scene più efficaci sono state condizionate dalla consulenza casuale di passanti. Quando giro un film mi sento un grande privilegiato in una fabbrica di giocattoli: mi fabbrico il mio giocattolo da solo ma è grazie ai membri della troupe sono in condizione di farlo. Umiltà e redini sono la mia cifra.

 

 

Ti si ritorce contro come nella dantesca legge del contrappasso? (Nella «Divina Commedia» i superbi sono collocati nell’ottavo cerchio, nel pozzo dei giganti, condannati all’immobilità).
Dipende. Chi sa esercitare la superbia fino in fondo, la sa indossare, può trarne vantaggio. Penso alle donne con una bellezza altera, brave ad esercitare l’arte sapiente di dare e togliere, a generare un distacco tra loro e il mondo.

 

 

È meglio essere consapevole delle proprie abilità o dei propri limiti?
Di tutti e due insieme, senz’altro. Vanno di pari passo.

 

 

La persona superba può produrre opere di valore? Oppure la sua stessa superbia diventa un ostacolo alla costruzione di qualsiasi cosa?
La superbia in sé non può determinare il prodotto fatto da chi la possiede. Penso che non è un male assoluto, magari qualcuno per esprimere il proprio talento ha bisogno di superbia; c’è chi invece potrebbe essere danneggiato per una minore considerazione dagli altri. Dipende dall’uso che se ne fa.

 

 

Sul tavolo uno smartphone gigante, un aggeggio che sostituisce computer cellulare e tablet, vibra a ripetizione. Un paio di volte lo silenzia, sbircio il nome «Luci Luci», deve essere un soprannome, non conosco nessuno che si chiami così, taccio. Spero per lui che Luci Luci non si offenda. Io lo farei.

 

 

Sei mai stato superbo? Se si, quando e con chi? E te ne sei pentito o ne sei stato fiero?
Non mi risulta. Non posso dire di non esserlo stato mai. In epoca recente no. Alzare la voce per imporsi o non piegarsi allora si, il tuo personale senso della dignità non può prescindere. Se devo dire no, io dico no, potrebbe essere dignità, si può confondere con la superbia, bisogna distinguere.

 

 

Credi che un po’ di superbia serva nel tuo campo?
Serve. Può servire. Soprattutto per ricavarsi una posizione, ad esempio la mia posizione me la sono fatta auto-producendomi, non ho avuto bisogno di arroganze. La superbia associata all’ignoranza quella è letale, gli ignoranti superbi sono gli unici centurioni che incontro a Roma.

 

 

In un’epoca di millantatori, dove chi la spara più grossa vince tutto, conviene essere umili o adeguarsi alla tendenza di massa?
Conviene essere se stessi, se ti forzi ad adeguarti a un mainstream alla fine ti snaturi, è un costo, è una fatica. Ti faccio un esempio. La mia compagna stamattina era incazzata, furiosa, forse mi aveva sognato, è talmente lunatica, è tropicale… Stamattina, dopo una colazione tra fuoco e fiamme, me ne sono andato senza salutare. Mi ha chiamato a ora di pranzo, non volevo rispondere, invece prendo la chiamata e lei: «Che fai a pranzo?». «Con te così incazzata…». «Ho cucinato la minestra, vieni». Torno a casa, lei sorridente, fa battute, aveva pure cucinato bene, una zuppa di legumi che per una volta non erano durissimi, un miracolo. Non ho potuto fare a meno di chiederle cosa fosse successo tra la mattina e il pranzo. Lei mi fa: «Essere incazzati è uno stress che non ce la facevo a sopportare». In effetti mettersi una maschera che non ti si addice, come mettersi le scarpe dure al matrimonio, non conviene…

 

 

La superbia fa parte di momenti della vita, molto sociali o boriosi, poi ci sono momenti come adesso che ti metti paura pure a uscire a comprare il pane… Meglio ascoltarsi. O meglio contrastarsi? La strada non è chiara. Troppa fatica, non mi piace affrontarla, vedi, dovevamo parlare di pigrizia…
Blaise Pascal dice: «Una falsa umiltà è puro orgoglio». Che ne pensi?
Devi essere te stesso, alla fine tutto esce fuori. Pascal tutto sommato aveva ragione: come darsi un certo aplomb o ce l’hai o non c’è l’hai.

 

 

Grandi artisti hanno peccato di superbia, Picasso, Dalì, tanti registi apprezzati, deceduti e viventi, quindi che vuol dire, che forse la superbia a volte ha un senso, un fondamento? È giustificata o giustificabile dal genio?
Alcuni nostri registi contemporanei sono considerati molto superbi, uno di questi recentemente mi ha detto che nel caos del set si pone come obiettivo di tenere alta l’asticella della tensione per non abbassare il livello. Perseguire un livello di qualità nel proprio lavoro è un grande merito. In un Paese come il nostro, con una naturale tendenza all’approssimazione, che qualcuno ci ricordi che ci vuole un po’ di rigore forse è giusto.

 

 

Grazie, per me abbiamo finito.
Fuori onda, spettegoliamo un po’ su comuni amici. Chiedo chi era il regista considerato superbo: «Quello che mette le pagelle ai membri della troupe?». Non lo sa ma mi dice il nome. Non ci avevo azzeccato. Ci salutiamo promettendo di far conoscere i bambini: Piva ha due figli maschi di quattordici e dodici anni con una donna da cui è separato da tempo e una bambina di sei, un paio meno del mio, avuta dall’attuale fidanzata di sedici anni più giovane di lui, dettaglio che gli faccio notare. Lui si difende: «Almeno non rientro nel cliché di quegli uomini che si mettono con donne che hanno la metà dei loro anni». Meno male, penso tra me e me.
Sull’uscio, a bruciapelo, gli chiedo: «Come si chiama la tua compagna?». «Lucia, detta Luci». «Luci ah, Luci ah, di solito così non si fa» canticchio citando Battisti. Ma Alessandro non conosce questa canzone.