I dirigenti politici israeliani, non solo quelli al governo, amano ripetere ai loro interlocutori che «Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente». Questa affermazione se prima veniva smentita con forza solo dai palestinesi da tempo è contestata anche da non pochi israeliani ebrei. In particolare quelli di sinistra che riferiscono di spazi più ristretti ed intimidazioni per chi dissente dalla linea della destra al potere. Ricordano anche il ruolo centrale che svolgono gruppi di estrema destra vicini al movimento dei coloni impegnati a denunciare in pubblico come «traditori» intellettuali, attivisti e simpatizzanti della sinistra. Alla legge sulla «Trasparenza» in discussione alla Knesset sui finanziamenti dall’estero alle Ong progressiste e dei diritti umani, e alle inchieste della polizia che di recente hanno preso di mira attivisti ebrei contro l’occupazione, si aggiunge ora il passo fatto dalla censura militare che ha chiesto al blogger Yossi Gurevich di sottoporre preventivamente al suo esame tutti i testi che dovrebbero apparire sul suo sito. Sino ad oggi le pubblicazioni in ebraico venivano sorvegliate «a distanza» ma ora la nuova responsabile della censura militare, Ariel Ben Avraham, vuole azioni preventive nei confonti di un certo numero di pagine Facebook gestite da israeliani ebrei.

 

Contro l’attacco, ormai continuo, alle espressioni di dissenso, ieri decine di organizzazioni israeliane per i diritti umani e contro l’occupazione – come Breaking the Silence, B’Tselem, Gisha, HaMoked – assieme a centinaia di persone hanno tenuto un raduno al porto di Tel Aviv, “Lista Nera”, per dire alla destra che non riuscirà a chiudere la bocca a chi denuncia l’occupazione dei territori palestinesi. «Abbiamo detto a ci attacca che ha di fronte persone che non demordono, che non fanno marcia indietro sul rispetto dei diritti umani e la democrazia», spiega al manifesto Sarit Michaeli di B’Tselem. «Purtroppo il trend in atto nella società israeliana non è positivo» sottolinea Michaeli «la campagna (nei confronti del dissenso) non è destinata ad esaurirsi, anzi andrà avanti. Ma è proprio in queste fasi che occorre continuare il proprio lavoro con lo stesso impegno». Jafar Farah, direttore esecutivo del centro arabo per l’uguaglianza “Mossawa” di Haifa, ricorda la decisione presa alla fine del 2015 dal governo Netanyahu di mettere fuori legge il movimento islamico in Israele. «Ciò che è stato fatto al Movimento Islamico potrebbe essere il futuro di tutte le nostre organizzazioni», ha avvertito Farah.

 

La tensione intanto non accenna a diminuire in Cisgiordania dove ieri un ragazzo palestinese di 14 anni, Haitham al Baw è stato ucciso in scontri con l’esercito a Halhul (Hebron). Ferito anche il cugino Wajdi. Per il portavoce militare israeliano, i due ragazzi si apprestavano a lanciare bottiglie incendiarie al passaggio dei soldati. Da parte sua il servizio d’emergenza palestinese denuncia che i militari israeliani hanno impedito per lungo tempo di aiutare i feriti. Resta ancora chiuso il villaggio di Qabatiya – da cui provenivano i tre giovani palestinesi autori dell’assalto armato a Gerusalemme di qualche giorno fa – dove sono proseguiti gli scontri con i soldati israeliani che hanno ferito almeno dieci dimostranti. Si sono avuti scontri anche lungo le linee tra Gaza e Israele, a Betlemme, Qalqiliya e Bilin. In Cisgiordania continuano gli arresti notturni di palestinesi – almeno sette tra giovedì e venerdì – e l’esercito ha notificato sette ordini di demolizione delle case di altrettanti palestinesi accusati di aver compiuto attacchi contro israeliani. Tra queste ci sarebbe anche quella di Abdullah Dais responsabile dell’uccisione il mese scorso della colona israeliana Dafna Meir nell’insediamento ebraico di Otniel.

 

Si accende inoltre la polemica sui deputati arabo israeliani Hanin Zoabi, Basel Ghattas e Jamal Zahalka, di Tajammo, parte della Lista Araba Unita, accusati dal premier Netanyahu di aver avuto «un incontro con 10 famiglie di terroristi, incluso uno che ha ucciso tre israeliani». La destra chiede l’espulsione dal Parlamento dei tre deputati. Questi ultimi denunciano una «campagna fascista» spiegano che quelle visite sono state solo «un atto umanitario» a sostegno delle famiglie che chiedono la restituzione dei corpi dei palestinesi uccisi durante attacchi tentati o compiuti e che le autorità israeliane continuano a trattenere da settimane a scopo punitivo.