L’Italia non cresce? L’occupazione non aumenta quanto dovrebbe? È colpa della Grecia. Gli alibi non finiscono mai, nonostante l’Italia sia diventata il fanalino di coda europeo da anni. Tutte le stime economiche sulla crescita del Pil e dell’occupazione – Fmi, Eurostat, Istat -, ricordano che siamo un paese periferico.

Dopo Grecia e Cipro, siamo il paese che ha perso di più in termini di Pil pro-capite dall’inizio della crisi: meno 10%, frutto delle politiche europee e, peggio ancora, di quelle stupide dei «nostri» governi. Al primo posto c’è il governo Monti con la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, al secondo c’è il governo Renzi che ha intaccato le fondamenta del diritto liberale. Al via della terza guerra mondiale contro la Grecia, Renzi e Padoan hanno ridimensionato l’impatto economico di una eventuale implosione greca, sostenendo che

  1. i compiti a casa sarebbero stati fatti e il mercato apprezza le nostre riforme,
  2. l’Europa ha gli strumenti per affrontare un rialzo dei tassi di interesse sul debito pubblico.

Gli istituti di ricerca sono meno convinti della retorica del governo e segnalano che la crisi greca condizionerà i conti pubblici e la crescita. Standard&Poor’s stima una crescita degli oneri sugli interessi passivi pari a 11 mld tra il 2015-16, mentre l’Istat sottolinea che i settori produttivi sono al ancora al palo, che il mercato del lavoro non sembra raccogliere gli stimoli del governo e, soprattutto, che si manifesta una disillusione delle persone che cercano lavoro; c’è una riduzione tendenziale dell’occupazione complessiva.

Sette milioni di senza lavoro sono un record che dovrebbe turbare il sonno di chiunque, ma per il momento solo quello di uomini e donne che hanno rinunciato a cercarlo. Inoltre, l’Istat ricorda che sul quadro macroeconomico pesa l’incognita relativa agli sviluppi della crisi greca, compromettendo l’indice composito anticipatore dell’economia che ha evidenziato in aprile una significativa decelerazione. Il clima di fiducia dei consumatori (europei) ha evidenziato una stabilizzazione a partire dal mese di giugno, in coincidenza con la stupidità delle istituzioni europee.

Nel report dell’Istat si parla proprio di «deterioramento delle attese sull’andamento futuro dell’economia e sulla capacità di risparmio… e che il sentimento delle imprese è peggiorato a causa delle attese su produzione e livello corrente degli ordinativi». Quindi le istituzioni europee, assieme alla complicità di tutti i governi dell’area euro, per non parlare del socialismo europeo che ha perso qualsiasi rifermento al socialismo, condizionano la cosiddetta crescita europea. Ma nello scenario apocalittico è scappata una informazione: il dollaro si sta apprezzando sull’euro. Una buona notizia?

Non è che le famiglie europee cominciano a vendere euro contro dollari? Se questa è la vera motivazione della svalutazione dell’euro, invece del Quantitative easing, vuol dire che sono gli europei a non credere più all’Europa e tornano a rifugiarsi nella moneta di riferimento del commercio internazionale.

Se le informazioni di S&P, Istat e Fmi, sono corrette, immaginate lo scenario di una implosione della crisi greca, oppure che vinca il sì e, quindi, l’accettazione delle condizioni dell’eurogruppo.

Le politiche europee perseguono i loro obbiettivi di pareggio di bilancio nell’idea che il mercato apprezza. I governi europei e italiano dovranno considerare ulteriori manovre correttive in aggiunta a quelle in cantiere. Per l’Italia si tratta di 11 mld di euro di interessi passivi, a cui si aggiungono 4-5 mld di minori entrate relative alla contrazione del Pil. A quel punto cosa potrebbero dire Renzi e Padoan? Ce lo chiede l’Europa?