Lo sviluppo urbanistico lungo il litorale italiano «ha divorato 10 km lineari di coste l’anno per 50 anni». Una «barriera di cemento e mattoni lunga 2000 km (un quarto delle nostre coste), l’inquinamento dovuto all’estrazione di idrocarburi, con «122 piattaforme offshore attive e 36 istanze per nuovi impianti», lo sversamento di rifiuti urbani, solidi e anche tossici (compresi radioattivi), l’iper sviluppo turistico che riversa sulle località costiere «il 45% dei turisti italiani e il 24% di quelli stranieri», l’impennata del trasporto via mare che fa «dell’Italia il Paese in Europa, dopo Olanda e Regno Unito, per quantità di merci containerizzate movimentate», e la caduta verticale dell’attività di pesca, con il «93% dei nostri stock ittici sovra sfruttato, e la proliferazione di impianti di acquacoltura (in 10 anni aumentati in Italia del 70%)». Sono questi i fattori che stanno mettendo a serio rischio i nostri mari e le nostre coste. A lanciare l’allarme è il Wwf che nel suo dossier «Italia: l’ultima spiaggia» chiede subito di invertire le tendenze degli ultimi 50 anni.

«Non può che rassicurarci il fatto che questo nostro Paese abbia circa 700 km di costa (sugli 8 mila complessivi, ndr) e 228 mila ettari di mare tutelati da 27 aree marine protette e 2 parchi sommersi o che l’Italia sia tra le nazioni più ricche d’Europa per la biodiversità marina», scrive Donatella Bianchi, la presidente del Wwf Italia, in premessa del corposo dossier. Però non si può dimenticare che «i tratti di costa liberi dalla urbanizzazione pervasiva più lunghi di 5 km, ad un buon grado di naturalità, non siano più del 10% di tutto il nostro litorale nel versante tirrenico e del 13% in quello adriatico».

Il consumo del suolo infatti sembra inarrestabile: secondo il Wwf che ha usato anche gli studi dell’equipe dell’Università dell’Aquila, «la densità dell’urbanizzazione in una fascia di un km dalla linea di costa è passata nella Penisola dal 10 al 21%, mentre in Sicilia ha raggiunto il 33% e in Sardegna il 25%». Secondo i dati Istat, prendendo in considerazione la fascia costiera di un km dalla battigia, tra il 2000 e il 2010 sono stati costruiti 13.500 edifici, «40 edifici per km quadrato nei versanti tirrenico e adriatico e più del doppio sulla costa jonica». Prevede l’associazione ambientalista che se le nuove edificazioni sorgessero allo stesso ritmo di quello registrato tra il 2000 e il 2010, «nei prossimi 30 anni avremmo su scala nazionale almeno altri 40.500 nuovi edifici nella fascia costiera».

L’erosione delle coste, l’inquinamento, l’ipersfruttamento turistico e l’elevato traffico di barche e mezzi acquatici di trasporto non solo modificano il paesaggio, distruggono la flora e la fauna marina, spazzano via sabbia, coralli, plancton, posedonia, spugne, e uccidono le specie rare, ma avvelenano anche i prodotti destinati al consumo umano.

Lo studio del Wwf però identifica quattro grandi aree strategiche per la biodiversità dove si concentra la maggior ricchezza dei nostri mari e da dove poter ricominciare per pianificare uno sviluppo sostenibile di tutto il litorale e l’ambiente marino italiano. Sono quattro zone «di forte interazione tra “crescita blu” sostenibile e siti di interesse conservazionisto». Si tratta della zona tra il Mar Ligure ed il parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, del canale di Sicilia, del Mare Adriatico settentrionale e dell’area del canale di Otranto nell’Adriatico meridionale. Per capirne l’importanza, si pensi solo al fatto che, per esempio, nell’Arcipelago toscano sono stati osservati 12 specie di cetacei (balenottera comune, capodoglio, delfino comune, tursiope, stenella striata, globicefalo, grampo, zifio, balenottera minore, steno, orca, pseudorca). O che il Canale di Sicilia è «un’importante area di nursery per lo squalo bianco, una specie in via di estinzione», e «l’ultimo habitat importante per la razza Maltese, classificata in Pericolo critico». Mentre nel canale di Otranto vivono delfinoidi, foche monache e tartarughe.

Per tutelarli e tutelarci il Wwf chiede una moratoria all’edificazione nella fascia costiera, «sino a quando non saranno approvati i piani paesaggistici in tutte le Regioni», e il blocco dei rinnovi automatici di tutte le concessioni balneari, «come richiesto dalla Corte di Giustizia europea, sino a quando l’Italia non si doterà di una normativa che preveda l’obbligo di gara», e «uno stretto coordinamento operativo tra i ministeri, le regioni e i comuni».