Le stime economiche della Commissione Europea per l’Italia sono in linea con il solito e continuo ribasso delle previsioni fatte solo qualche mese addietro. Da questo punto di vista si conferma l’inadeguatezza degli strumenti econometrici che dovrebbero indagare il futuro e, in particolare, l’inadeguatezza degli stessi se applicati per dei sistemi economici come l’Italia che hanno subìto una decelerazione quali-quantitativa senza precedenti. Non bisogna mai dimenticare che la recessione subìta dall’Italia è più lunga e profonda di quella del ’29.

La distanza di crescita di Pil cumulata dall’Italia rispetto alla Germania tra il 1995 e il 2015 e superiore di 15 punti di Pil. Una enormità! Non devono quindi sorprendici tassi di crescita rivisti sempre al ribasso: 0.8% per il 2015, 1.1% per il 2016 e 1.3% per il 2017, con una differenza strutturale dalla crescita media europea (annua) di meno 0,5 punti di Pil.

Tutti gli indicatori economici dell’Italia (tasso di occupazione, Pil, investimenti e ricerca e sviluppo) sono sistematicamente peggiori della media europea, e le politiche fino ad oggi realizzate rendono impossibile chiudere la forbice che ci separa dalla media europea.

Invece di creare lavoro, riduciamo la disoccupazione ufficiale, ma non quella reale che include gli scoraggiati. Oggi i senza lavoro reali superano i 6 milioni di persone! Paradossalmente con il Jobs act il tasso di occupazione cresce più lentamente di quello previsto senza questo improprio strumento di politica economica.
Le previsioni della Commissione non sono però da sottovalutare, soprattutto per il nostro Paese. Sebbene il rapporto deficit di bilancio-Pil continua a ridursi, si passa dal meno 2,6% del 2015 all’1,9 per il 2017, la media dell’area euro passa da meno 2,1% del 2015 a meno 1,6% del 2017, è sorprendente la coincidenza tra deficit di bilancio «reale» e deficit strutturale di bilancio (1,7%) dell’Italia. Se è vero che le previsioni economiche della Commissione non sono mai neutre, l’Italia si ritaglia una clausola di flessibilità per maggiori e/o minori spese pari a mezzo punto di Pil, le previsioni nascondono qualcosa che nessun giornale racconterà.

La crescita potenziale del Pil dell’Italia con il passare degli anni è sempre di più alla crescita reale. In altri termini, qualora il paese riuscisse a impiegare tutti i fattori di produzione, cioè la sua crescita potenziale, la differenza tra la crescita reale e potenziale sarebbe nulla. Un bel dramma! Infatti, il così detto structural budget balance come percentuale del Pil potenziale è di meno 1.7 per 2016 e il 2017. Sostanzialmente identico a quello reale. In altri termini ancora, la struttura produttiva del paese, la capacità competitiva, il tasso di occupazione potenziale – in assenza di inflazione -, che rimane una indecenza se consideriamo la deflazione galoppante, non permettono una crescita maggiore di quella che ogni anno realizziamo.

Se il Pil potenziale fosse solo di 1 punto percentuale superiore di quello reale, il rapporto deficit-Pil scenderebbe, permettendo delle politiche economiche pubbliche anticicliche. I vincoli europei sono diventati più stringenti dopo il 2011. Monti lo ricorderemo per molto tempo, ma le politiche adottate dopo di lui hanno sistematicamente ridotto la crescita potenziale e quindi la possibilità di creare lavoro buono. È un miracolo che l’Italia non sia affondata se consideriamo il basso potenziale di crescita.
In molti hanno sostenuto che i dati di previsione europei sono meno drammatici di quelli che era lecito attendersi. Rispetto tutti i punti di vista, ma la coincidenza tra Pil reale e potenziale è un segnale grave e molto dantesco. Creare lavoro in queste condizioni è tecnicamente impossibile. Fortunatamente la Bce adotta delle politiche più ragionevoli di quelle suggerite dalla Commissione e dalla Germania, ma senza cambiare il motore della macchina senza fermarla (Riccardo Lombardi) è impossibile risolvere la crisi nella crisi che attraversa il nostro paese.