Nelle feste dell’Unità ci saranno i banchetti per la raccolta delle firme per il Sì, spiegava ieri il presidente del Consiglio al Corriere della Sera. Problema: non ci sono le feste dell’Unità. Non fino all’estate, come da tradizione – prima di luglio in tutta l’Emilia Romagna ne sono previste solo alcune di quartiere. Ma Renzi ha annunciato che porterà in Cassazione le 500mila firme di sostenitori della riforma costituzionale (che però chiedono il referendum che potrebbe cancellarla) entro il 7 luglio. I banchetti arriveranno dopo. Serviranno non per le firme ma per la propaganda, e per quella basta il titolo della festa nazionale, che è lo stesso dell’anno scorso: «C’è chi dice Sì»; Bersani per questo si arrabbia. Le firme il Pd le starebbe raccogliendo adesso, al ritmo di 200mila a settimana a voler credere a quanto ha dichiarato il presidente del Consiglio, salvo che i suoi banchetti in giro per le città non ci sono. A Roma non risultano aver mai chiesto l’occupazione di suolo pubblico. Per chi volesse firmare, non c’è un solo appuntamento nel sito lanciato con la grancassa da Renzi a fine maggio – bastaunsì – e rapidamente lasciato languire come quell’altro che doveva aggiornare a ciclo continuo sulle riforme governative, passodopopasso (ieri pomeriggio nella home c’era ancora Renzi che faceva gli auguri per il 2 giugno).

Le firme invece, oggi e domani, continueranno a raccoglierle quelli del Comitato del No, due firma days nelle piazze italiane per cercare di arrivare a 500mila entro la scadenza. Che significa il 15 luglio per il referendum costituzionale e qualche giorno prima (il 9) per i due referendum abrogativi dell’Italicum. All’impegno partecipano anche Anpi e Arci con un’iniziativa parallela: Ballando sotto le firme. Negli stessi giorni saranno raccolte le firme anche per i referendum sociali (scuola, trivelle, inceneritori), che secondo i promotori hanno raggiunto quota 300mila sottoscrizioni – quelli dei referendum istituzionali non azzardano cifre nell’attesa dei moduli dalle città, dovremmo essere da quelle parti. E se il referendum costituzionale si terrà in ogni caso (perché lo hanno chiesto i parlamentari), quello contro l’Italicum è legato al successo della raccolta delle firme. Nel frattempo la nuova legge elettorale sta per entrare pienamente in vigore.

Malgrado sia stato approvato definitivamente il 4 maggio dell’anno scorso, infatti, l’Italicum diventerà applicabile solo il prossimo primo luglio. Trattandosi di una legge che riguarda solo la camera dei deputati (e temendo Berlusconi all’epoca le elezioni anticipate), il nuovo sistema di voto è legato alla riforma costituzionale, che abolirà il senato elettivo. Ma la riforma costituzionale, come si sa, è ancora in forse perché pende il referendum; nel caso venisse bocciata dai cittadini resterebbero le due camere elettive. Una, il senato, eletta con la legge attualmente in vigore che è proporzionale con soglie di sbarramento; l’altra, la camera, con l’Italicum, legge iper maggioritaria che mortifica la rappresentatività del voto. In questo caso la distorsione della volontà popolare sarebbe persino inutile, perché senza la riforma costituzionale il governo continuerebbe a chiedere la fiducia al senato e le leggi elettorali diverse non garantirebbero la “governabilità”. Le due proposte di referendum abrogativi mirano al cuore dell’Italicum: chiedono di cancellare il ballottaggio (il premio di maggioranza, comunque notevole, sarà a disposizione solo della lista che dovesse vincere con almeno il 40% dei voti) e di abolire le candidature plurime e i capolista bloccati.

Non ci sono però solo i referendum a minacciare la nuova legge elettorale che Renzi si dichiara indisponibile a modificare, per quanto lo chiedano sia la minoranza Pd che i centristi della maggioranza. Ci sono i ricorsi nei tribunali civili italiani, che furono decisivi per abbattere il Porcellum: di questi uno è già approdato alla Corte costituzionale e sarà discusso il 4 ottobre. E c’è infine una terza via che potrebbe portare l’Italicum davanti ai giudici delle leggi, quella prevista dalla stessa riforma costituzionale (referendum permettendo). 34 senatori o 158 deputati potranno infatti chiedere alla Corte costituzionale – e le minoranze lo faranno senz’altro – di pronunciarsi sulla legittimità complessiva della nuova legge elettorale. Sarebbe quasi una replica del famoso giudizio del 2014 che ha colpito il Porcellum. La nuova legge, attraverso il ballottaggio, lascia aperta la porta a quel premio di maggioranza «senza soglia» già dichiarato incostituzionale. Per salvarla la Consulta dovrebbe smentirsi.