«We learned more from a three minute record than we ever learned in school»

(Abbiamo imparato più da un disco di tre minuti che da quello che abbiamo mai imparato a scuola)

Bruce Springsteen

E se quei tre minuti custodissero un’importante chiave di lettura o addirittura alcune delle componenti essenziali della storia del Novecento? È forse questa l’intuizione che ha spinto Bruce Springsteen, Martin Scorsese, Jackson Browne, Bono Vox a unirsi a Steven Van Zandt nel fondare Rock and Roll: An American Story (Rras), il progetto didattico che abbatte il muro che separa la pedagogia, e finanche l’accademia, dall’«entertainment», e lo fa con autorevolezza avvalendosi di partner quali New York University, Abc News, Grammy Museum, National Council for the Social Studies, Reelin’ in the Years Productions, Rock’s Backpages, National Association for Music Education; e si apre ora alla collaborazione con Music Making History Research Unit della «Sapienza» Università di Roma.

Rras si presenta al pubblico come una piattaforma web (www.teachrock.org) che si dirama in grandi aree – temi, problemi, momenti storici – accomunate dal protagonismo del rock and roll non solo nell’evoluzione musicale, ma anche e soprattutto in quella sociale, politica, economica degli Stati Uniti; e da queste si snodano lezioni e capitoli che forniscono approfondimenti, sollecitazioni, contributi bibliografici e documenti archivistici coevi (fonti sonore, video e a stampa) sul problema affrontato.

È un progetto creato per gli educatori, con l’obiettivo innanzitutto di far fronte al problema del drop out, il sempre più diffuso abbandono scolastico negli Usa.

Dal 2013, alcuni istituti scolastici di New York City hanno rodato il progetto sotto la diretta supervisione della Rock and Roll Forever Foundation e dello stesso Steven Van Zandt che ne è il fondatore, utilizzandolo come fulcro degli insegnamenti di storia, letteratura, arte, scienza e tecnologia, musica; e poi il battesimo nelle scuole del New Jersey a cominciare dalla Middletown High School South – tra i cui banchi sedeva l’adolescente Little Steven – e da qui introdotto in classi «pilota» in Pennsylvania, Colorado, California; per approdare alla New York University e alla Sapienza Università di Roma, attraverso la Music Making History Research Unit (Mmh) che ha il ruolo di declinare il progetto in chiave europea. È in occasione dell’avvio di questa collaborazione, che chi scrive ha incontrato a Roma Steven Van Zandt per discutere sul senso di questo progetto e delle sue prospettive in Europa.

Steven, questa nostra collaborazione, lungi dal voler compilare una «storia del rock», compie il processo inverso: ha l’obiettivo di far entrare a pieno titolo le fonti sonore nella storia, come documenti irrinunciabili per ricostruire la storia sociale, culturale ma anche politica e militare del Novecento. E riconosce nel rock and roll tutta la complessa essenzialità di un linguaggio sonoro che quando fa il suo ingresso nella storia, la modifica nel suo divenire. Nel 1919, quando il jazz arriva dagli Stati Uniti con tutta la sua carica dirompente sembra fare da colonna sonora alle inquietudini dell’Europa appena uscita dalla Grande Guerra.

Ma è con lo scoppio della guerra fredda – guerra psicologica e culturale – che il jazz, lo swing diventano armi strategiche per il dipartimento di stato americano; e con loro arriva anche il rock and roll con tutta la sua carica antagonista, una dinamite che ha ricadute specifiche nei diversi contesti nazionali. Ma prima che rivolgersi all’università e all’Europa, Rras si è diretto alle middle e high school Usa.

Qual è stato l’obiettivo originario, fornire una colonna sonora all’insegnamento della storia o qualcosa di molto di più?

La Rock and Roll Forever Foundation si chiama così perché è qualcosa che intende essere molto più dello studio di un periodo di tempo. Usiamo il rock and roll come un ombrello che copra per intero l’idea stessa di popular music, dagli inizi del ventesimo secolo ad oggi.

Ripercorriamo la storia attraverso la musica e analizziamo la musica in relazione a quello che sta succedendo nel periodo in questione. Così gli studenti non imparano solo la popular music ma apprendono la storia, senza neanche accorgersene.

Usiamo l’espressione rock and roll perché è l’unica arte popolare che abbia mai incluso tutte le altre arti musicali: il folk rock, hard rock, jazz rock, progressive rock. È la musica che fa da contenitore a tutti questi generi. Così nelle scuole siamo certi di poter chiedere ai ragazzi anche in classe sempre con gli auricolari collegati agli iPod, ‘Cosa state ascoltando?’ E subito dopo aggiungere, ‘Secondo te, questa musica da dove arriva?’.

Qualunque cosa stiano ascoltando in quel momento li invitiamo a fermarsi, a partire da quel pezzo e a sforzarsi ad andare indietro nel tempo fino a rintracciarne le origini, a ripercorrere passo per passo il percorso inverso che ha portato a quella musica. Magari stanno ascoltando Jay-Z, Kanye West… chiediamo chi secondo loro può aver influenzato questi artisti, e poi attraverso Rras iniziano a capire che quella musica proviene da qualche altra parte, che viene dalla società, che di fatto viene dalla storia.

In questo modo la storia viene insegnata in retrospettiva, e nel modo che i ragazzi prediligono. D’altronde, non c’è altra soluzione dal momento che il processo educativo è oggi del tutto cambiato. Un tempo ci veniva chiesto di imparare qualcosa che avremmo usato nel futuro, ‘Apprendi oggi una conoscenza, che userai domani’. Oggi non funziona più così. I ragazzi non hanno questa pazienza, il deficit dell’attenzione è un disturbo assai diffuso, ma in realtà non si tratta di un deficit: è la vita di oggi. Quello che io cerco di enfatizzare nel Rock and Roll Forever Foundation Curriculum è insegnare nel present tense, insegnare ai ragazzi ciò che possono usare ora, che possano comprendere ora e possono usare nella propria vita sin da ora.

E sai cosa racchiude tutto questo? La musica. Ogni ragazzo ama la musica, ogni ragazzo capisce la musica, ognuno ha i suoi gusti individuali.

Con la musica creiamo innanzi tutto un terreno comune e questo permette di dare il via a una discussione. La grande difficoltà di un insegnante è questa: avere un terreno in comune con gli studenti, catturare la loro attenzione. Noi cominciamo da lì, dal loro terreno, da quello che loro ascoltano. Ai ragazzi piace imparare se si tratta di qualcosa che li riguarda e riguarda ciò che amano: e a loro piace la musica.

Poi viene il passo successivo, vale a dire insegnare loro quello che sta accadendo nel mondo della musica, ma soprattutto di come la musica e la sua evoluzione sia il riflesso della società. Partiamo dal country blues di Son House e Robert Johnson e gli altri, passando attraverso le Louis Armstrong Hot Five and Hot Seven Sessions per arrivare alla Big Band Era, e poi agli anni Cinquanta e ai pionieri del rock and roll, gli anni Sessanta e la renaissance del rock and roll, e poi la post reinassance, i Settanta, gli Ottanta, i Novanta e l’attualità.

Insegniamo tutto questo in un modo tale che i ragazzi capiscano come negli Stati Uniti il rock and roll sia l’unica forma artistica creata per metà da bianchi e per metà da neri, con il notevole contributo degli ispanici, e contemporaneamente da donne e uomini insieme.

Così nelle classi ci ritroviamo di fronte a ragazzi che sono uomini, donne, ispanici, neri, bianchi, e che tutti insieme si trovano attraverso Rras a tornare verso le proprie origini: Africa, Scozia, Spagna, Italia o altre, qualunque esse siano.

E scoprono che tutto questo negli Usa è stato messo insieme in un’unica soluzione, in un unico modo. Tutto questo è diventato il rock and roll. Questo è veramente importante per gli studenti negli Stati Uniti, per i neri in particolare che prendono in mano una chitarra e non sanno che hanno ogni diritto di farlo dal momento che l’hanno inventata loro. Ma non lo sanno! È quindi una rivelazione per qualcuno di loro imparare qual è l’origine di questa musica e scoprire che hanno tutti i diritti per poterne prendere parte.

Riguardo all’Europa: il discorso è altrettanto importante perché il rock and roll continua ad essere di ispirazione e di motivazione per tutti. Dentro c’è tutto ciò che è sul punto di cambiare: la rinascita del rock and roll, che va dal 1951 fino all’incirca al 1970, così come i vent’anni successivi, saranno studiati per centinaia di anni a venire continuando ad essere fonte di ispirazione per i ragazzi di ogni generazione, finché non saranno inventati nuovi strumenti da suonare.

Ma finché si suoneranno questi strumenti è da lì che dobbiamo cercare le radici, e noi percorriamo questa strada all’indietro per fare in modo che i ragazzi possano avere una comprensione di quanto stia accadendo e nessuno di loro deve credere che la musica cada dagli alberi, perché oggi tutti «rubano» la musica, e questo deve finire, perché è un fenomeno molto dannoso. Ma questo è un altro discorso.

«Rock and Roll: An American Story» e «Music Making History» propongono la tesi che la musica condizioni la storia anche e soprattutto quando non si tratti di canzone esplicitamente politica. Il rock and roll è destabilizzante perché non sempre palesa fino in fondo, né chiarisce attraverso le parole i contenuti e la carica antagonista di cui è portatore. È l’espressione del B-side degli Stati Uniti, dell’emancipazione e dell’integrazione razziale, della rivoluzione giovanile che travolge l’occidente e non solo… E poi succede di recente che un teatro, il Bataclan, dove si svolge un concerto di rock and roll, diventi l’obiettivo più drammatico degli attacchi terroristici a Parigi da parte dell’Isis.

Secondo te è possibile pensare che il rock and roll rappresenti tutt’ora una minaccia, perché non portatore di un unico contenuto ideologico?

Può essere, il rock è a tutt’oggi una delle più efficaci forme di comunicazione. Noi usiamo il rock and roll nel «big sense of the word» per rappresentare la popular music in generale e in questo senso rimane il migliore strumento di divulgazione da un paese all’altro. È stato il modo in cui io ho appreso quasi tutto quello che conosco; ha stimolato le mie idee.

Ma alla fine il rock and roll e la musica in generale è una comunicazione essenzialmente emotiva.

Spesso si rischia di dare troppe informazioni; mentre è necessario «ispirare» le persone ad apprendere ciò di cui stai parlando ed è necessario farlo puntando sull’impatto emotivo della musica. È questo che ti muove davvero, che ti spinge ad approfondire un argomento, a studiarlo, a documentarti su quel tema.

Vedi, è quello che ho fatto nei i miei cinque album da solista: per ognuno di loro ho una «reading list» dei libri che spiega ciò da cui il disco viene fuori. Il rock and roll può condizionare la politica, nel senso che aggrega le persone tra di loro e la musica comunica delle idee. Ma, alla fine, quello che stiamo vivendo ora (a ridosso dei fatti di Parigi, ndr) è un problema assai più grande rispetto ad altri fatti successi in passato, e la soluzione è nel curare la povertà, nel prendersi cura dell’ignoranza.

Finché non si risolve il problema della povertà e dell’ignoranza avremo dei grandi problemi, e accadimenti del genere continueranno a verificarsi: niente cambierà finché non ci occuperemo seriamente della povertà e dell’ignoranza nel mondo.

Si tratta di un’impresa, ma non ci abbiamo riflettuto troppo seriamente in passato e ora ne vediamo i risultati. Avremo terrorismo, estremismi religiosi, ogni tipo di conseguenza negativa che povertà e ignoranza provocano. Questo è un momento storico assai difficile, ma bisogna rimanere fiduciosi, e risolvere concretamente il problema alla sua fonte originaria. Non puoi sanare l’irrisolto di povertà e ignoranza senza curarle alla radice, intervenire lì dove iniziano.

E questo richiede un impegno da parte del mondo attuale, e il ruolo che il rock and roll gioca in tutto questo è quello di continuare a diffondere una comunicazione emotiva, sprigionare amore e ottimismo, energia positiva, e si spera in qualche modo durante il percorso possa ispirare le persone a voler imparare di più della vita e di se stesse.

INCONTRO CON WARREN ZANES

«Il rock and roll ha giocato un ruolo decisivo nell’abbattimento delle barriere emotive dell’era precedente alla lotta per i diritti civili. Troppi pochi ragazzi conoscono questa storia», scrive Van Zandt nella presentazione on line della sua Rock and Roll Forever Foundation, organizzazione che ha come obiettivo lo studio e la tutela del rock and roll e della sua cultura. Pluripremiato con dischi di platino, produttore, compositore e impresario, l’artista ha fondato con Springsteen la E Street Band.

Dal 2002, dirige e conduce il programma radiofonico Little Steven’s Underground Garage; impegnato dagli anni Ottanta nella lotta per i diritti umani, ha ricevuto due onorificenze dalle Nazioni Unite e premi per il suo film The Making of Sun City. Dopo aver recitato nei Sopranos, sta ora inaugurando la terza stagione di Lilyhammer, che lo vede attore protagonista.

La sua Rock and Roll Forever Foundation ha sede a New York nel quartiere di Noho, tra l’East Village e Washington Square Park a pochi passi del cuore della New York University, la cui espansione sta nel tempo modificando lo skyline del Greenwich Village; ed è lì che abbiamo incontrato Dr. Warren Zanes, executive director del Rras e docente con Phil Galdston del corso Songwriting History and Criticism: 14 Songs presso la Steinhardt School of Culture, Education, and Human Development della NYU.

Un ciclo di lezioni che partono dall’analisi di pezzi come Papa’s Got a Brand New Bag (1965) di James Brown, Good Vibrations (1966) dei Beach Boys, A Case of You (1971) di Joni Mitchell per investigarne il contesto sociale, culturale e politico. È stato per anni vice presidente dell’Education and Public Programs alla Rock and Roll Hall of Fame and Museum, tra i vari volumi ha appena pubblicato negli Stati Uniti una biografia di Tom Petty (Petty. The Biography, Henry Holt and Co.) che sta avendo ottimi riscontri. Ma Warren è anche e soprattutto il chitarrista dei Del Fuegos e autore di tre album solisti.

Gli chiediamo quale sia la filosofia che anima questo progetto e cosa possa rappresentare il rock and roll per gli studenti di oggi, spiega: «Il rock and roll è la musica dei loro nonni e dei loro genitori, ed è questa una cosa dura a dirsi. Allo stesso tempo però il rock and roll degli anni Cinquanta, nella sua più ampia accezione, è assolutamente connesso alla musica di oggi. È la musica che appartiene ai ragazzi. Come afferma Chuck D dei Public Enemy, ‘l’hip hop è rock and roll’. È la musica che viene dai margini della società, e si evolve continuamente offrendo a chi vive ai margini il potere e la possibilità di avere un ruolo nel mainstream. Il rock and roll è la musica della working class ed ha una qualità ‘rivoluzionaria’; ma per me, questa qualità risiede nel suo ‘spirito’, nel ‘ritmo’, nel ‘groove’».

Senior manager e supervisori della fondazione sono Adam Rubin e Blair Bodine che si occupano di diramare i grandi temi di Rock and Roll: An American Story: nascita del rock, ribellione giovanile, frammentazione, trasformazione.

Ed è proprio da The Rise of The «Girl Groups», uno dei più sfavillanti tra questi capitoli, che sembra essere schizzata fuori con tutta la sua verve dirompente Darlene Love, la quale ha iniziato la sua carriera come voce delle Blossoms e delle Crystals, ed è ora prodotta e rilanciata da Steven Van Zandt nel recente Introducing Darlene Love, un album dal suono potentissimo e dai contributi eccellenti (Costello, Springsteen, Joan Jett tra gli altri) che svela tutta l’attualità del «wall of sound» di Phil Spector.

Barriere che crollano e mura sonore che resistono alle grandi trasformazioni. Quando il puzzle è completo e i pezzi si incastrano profondamente non c’è margine di errore, solo la perfezione del suono che tutto contiene.

*Marilisa Merolla è fondatrice e direttrice della Music Making History Research Unit, è professore associato di Storia contemporanea alla Sapienza Università di Roma (dip. Scienze Sociali ed Economiche)