Potremmo dire “Lea Pericoli” ricordando la nostra indimenticabile campionessa di tennis. Ma la battuta serve solo ad avvertire dei rischi che i cittadini corrono sui livelli essenziali di assistenza (Lea). Usati dal governo nella propaganda elettorale referendaria.
Usati da palazzo Chigi per promettere panacee e coperture universali, sotto finanziati perché mancherebbero le risorse necessarie, decurtati in tanti modi con l’alibi dell’appropriatezza. Così, pur costituendo il parametro di misura dell’universalismo del sistema sanitario pubblico, restano un grande mistero.

Mentre sono chiari i risparmi che si vogliono ricavare dai Lea e che purtroppo sanno di bacchetta magica perché non vengono spiegati (135 milioni di euro relativi agli ausili assorbenti, 63 milioni per i dispositivi ortopedici,16 milioni per l’ipertensione ecc), né sono chiare in alcun modo le condizioni per la loro fruibilità.

Mentre per la loro copertura il governo ha stanziato solo 800 milioni, le Regioni sostengono che di soldi ne servirebbero quasi il doppio. Mentre si prevedono tante prestazioni in più non sono chiare le condizioni di lavoro grazie alle quali queste verrebbero assicurate. Le parole e i fatti divergono.

Nei giorni scorsi il caso ha voluto che il presidente Gentiloni, appena dimesso dall’ospedale, firmasse il decreto di aggiornamento dei Lea. Ma che modo è quello di varare un decreto al buio senza commisurare con precisione ciò che si dà e ciò che serve? Ora è stata istituita dal ministero della salute una commissione per valutare il peso finanziario reale dei Lea. Perché non farlo prima?

Quindi il decreto parte male e molte sono le incognite da chiarire. In primo luogo la sua applicazione universale. Alcune Regioni non sono oggettivamente in grado di applicare alla stessa maniera i Lea. Vi sono squilibri regionali, sistemi regionali scompensati dai piani di rientro, che fanno ritenere che sussisteranno vecchie e nuove diseguaglianze. In secondo luogo la loro effettiva esigibilità. Vorrei ricordare che nella legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (L833) non esiste il concetto di “livello assistenziale” ma solo quello di “prestazione” peraltro correlato all’organizzazione dei servizi. La ragione è che non si può definire nessun tipo di prestazione senza definire le condizioni che la rendono possibile. Quindi i Lea, vecchi e nuovi, per essere reali devono essere declinati come servizio.

Qualsiasi crescita della quantità e della qualità delle prestazioni implica una riorganizzazione del lavoro e in ogni caso un relativo aumento di personale. E’ stato appena reso pubblico il resoconto annuale della ragioneria dello Stato dove veniamo a sapere che nel 2015 abbiamo subito una riduzione di dipendenti pari a 10.000 unità. Nel 2015 sono 653.352 contro i 663.793 del 2014. Rispetto al 2007 sono 28.845 in meno (-4,2%). Nel confronto con il 2009, anno con il massimo numero di occupati nella sanità pubblica, a fine 2015 risultavano impiegate 40.364 persone in meno. Nello specifico, per quanto riguarda i medici nel 2015 si registra un nuovo calo dai 112.746 del 2014 si è passati ai 110.850 del 2015 (-1.896) per quanto riguarda gli infermieri nel 2015 sono risultati 266.363 contro i 269.151 nel 2014 (-2.788).

A questo punto il governo dovrebbe chiare come fa a garantire più prestazioni con meno personale. La risposta possibile è: o si sfrutta di più il personale che c’è (naturalmente a costo zero) o l’operazione Lea è un imbroglio. Ma imbrogliare il paese sui Lea è un atto intollerabile di immoralità pubblica.

I Lea prima di essere delle prestazioni medico sanitarie da definire in qualche commissione tecnica dovrebbero essere l’oggetto di una transazione politica tra domanda di salute e offerta di sanità. Essi sono le prestazioni che un contratto sociale dovrebbe garantire per inverare l’art 32 della Costituzione.

Negli anni dei tagli lineari, del definanziamento, del costo zero, del compatibilismo, della concertazione negata, questo significato politico dei Lea si è perso, per questo è importante la lettera scritta l’altro giorno da Cgil Cisl Uil con la quale giustamente il sindacato unito rivendica il diritto/dovere da parte di chi rappresenta cittadini e operatori a co-decidere non sui Lea come se fossero riducibili ad un prontuario ma sulla esigibilità effettiva di un preciso contratto sociale.

Su questa insperata ripoliticizzazione dei Lea da parte delle confederazioni l’intero sindacalismo sanitario dovrebbe convergere per dare man forte ad una battaglia dal cui esito dipenderà la tenuta del sistema e la difesa della sua natura pubblica.