Volendo giudicare dai due film passati in piazza Grande ai tedeschi piace bio. Inteso però come biografico. E non poteva essere altrimenti visto l’argomento di Vor der Morgenröte di Maria Schrader che punta il suo obiettivo su Stefan Zweig, autore di un’infinità di straordinarie biografie. Meglio sugli ultimi mesi di vita del grande scrittore austriaco di origine ebraica. Lo troviamo infatti in Sudamerica, a Rio de Janeiro nel 1936, poco prima di andare a Buenos Aires al congresso degli scrittori che avrebbe affrontato il tema delle dittature in Europa. Zweig è consapevole del fatto che non tornerà in Europa, ma non intende rassegnarsi a dichiarazioni di principio fini a se stesse.

Il suo è un tormento interiore devastante che non cede a facili frasi di circostanza contro Hitler da pubblicare su qualche giornale. E il suo esilio, che passa da New York prima di essere brasiliano, a Petropolis si conclude con il duplice suicidio dello scrittore accanto alla giovane seconda moglie nel 1942. La regia di Schrader punta tutto sui dialoghi e sulla precisione del contesto. Zweig è un pacifista e un umanista, all’epoca era l’autore più tradotto del mondo, già obbligato a posare per foto ricordo e a incontri molteplici, anche perché spesso aveva bisogno di amici per far fuggire dall’Europa la prima moglie e altri conoscenti braccati dall’odio nazista.

Lui, ormai cittadino britannico perché fuggito dall’Austria ben prima dell’Anschluss e subito dopo che a Berlino i suoi libri erano stati bruciati dalle camice brune con svastica, è lontano dagli orrori della guerra e dai campi di detenzione che stanno per trasformarsi in campi di sterminio. Lontananza che è in qualche modo privilegio ma è anche angoscia. Forse per questo talvolta arriva a vedere con occhio velato da eccessivo entusiasmo la situazione brasiliana in cui razze e religioni diverse convivono in armonia. E per questo nel suo immaginario l’Europa dovrebbe diventare qualcosa di simile, con frontiere abolite e unità d’intenti da parte delle singole nazioni. Una sequenza su tutte sembra rivelare il rovello di Zweig, quando in occasione di quello che sarebbe stato il suo ultimo compleanno riceve in regalo un cagnolino.

Il momento è il più sereno e giocoso del film, con le preoccupazioni e l’orrore dimenticati per quei pochi momenti di serenità di fronte ai teneri colpi di lingua dell’animale. Maria Schrader cerca di offrire la straordinaria ricchezza e complessità dello scrittore puntando su una manciata di momenti della vita di Zweig annunciati da una didascalia.

Un paio nel ’36, alcuni nel ’41, poi l’epilogo tratteggiato con notevole originalità. Sono piccoli squarci che illuminano attraverso i dialoghi, un’operazione che non può e non vuole essere trascinante o appassionante ma catturare l’attenzione e l’interesse di un pubblico che si presume già conosca lo spessore e la produzione letteraria di Zweig, interpretato da Josef Hader, mentre Barbara Sukowa è la prima moglie e Aenne Schwarz la seconda.

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Anche Paula di Christian Schwochow è un biopic, questa volta dedicato alla pittrice tedesca Paula Modersohn Becker, l’unica donna pittrice cui sia mai stato dedicato un museo personale (voluto dalla figlia a Brema).

Tempi duri per una ragazza decisa a diventare pittrice agli inizi del ‘900. Due le critiche che le vengono mosse «l’unico gesto creativo che appartiene alle donne è il parto» (e lei di questo invece paradossalmente morirà), l’altra frase agghiacciante dice che deve essere lacerante essere donna e essere intelligente, perché le due cose sarebbero in contraddizione. Nonostante una vita brevissima, Paula è morta a 31 anni, ha lasciato ben 750 dipinti e 1000 disegni, classificati come esempi del primo espressionismo, e molti saranno invece definiti arte degenerata dai nazisti.

«La mia vita dovrebbe essere una festa» recita il sottotitolo del film, che vede Carla Juri protagonista, probabilmente tratto dalle lettere di Paula, mentre sullo sfondo del racconto spuntano artisti della Parigi dell’epoca poi divenuti famosi. Ma tanto sfoggio artistico non sembra aver fatto prendere il volo a un film che appare relativamente convenzionale.