Charles Darwin si era messo a coltivare fiori per distrarsi dalle lunghe ore passate allo scrittoio. A forza di osservare orchidee, finì con l’immaginare animali mostruosi – farfalle con la proboscide! – che nessuno aveva mai visto. Qualcuno lo prese anche in giro ma non si trattava di un effetto allucinogeno delle orchidee. Al contrario, quella visione fu una delle più lucide premonizioni mai conosciute dalla biologia.
Eppure, tutto era iniziato davvero per hobby, come antidoto allo stress. Nel 1859, Darwin aveva appena pubblicato l’Origine delle specie. Il suo saggio più importante e rivoluzionario aveva richiesto uno sforzo fisico ed intellettuale estenuante. Cinque anni intorno al mondo sul Beagle più due decenni passati ad analizzare i dati e limare la teoria della selezione naturale prima di pubblicarne l’edizione definitiva. Alla fine aveva persino dovuto sbrigarsi ad andare in stampa, perché Alfred Russel Wallace era giunto alle sue stesse conclusioni e rischiava di bruciarlo sul tempo, relegandolo al ruolo di secondo arrivato. Nella scienza equivale alla medaglia di legno. Chi se lo ricorda Wallace, oggi?
Tante cautele si rivelarono insufficienti. Le anticipazioni dell’Origine avevano creato una grande suspence e la prima tiratura si esaurì in un giorno. Ma gli attacchi che seguirono furono altrettanto violenti. L’influente rivista londinese Athenaeum pubblicò una stroncatura preventiva (e anonima) quattro giorni prima dell’uscita del libro, preannunciando le ire dei teologi: «perché non ammettere che le nuove specie furono introdotte dall’energia creativa dell’Onnipotente?». Ma anche il credito scientifico di Darwin fu messo in discussione. Per Herschel, il teorico del metodo induttivo che anticipò molta epistemologia popperiana, l’evoluzionismo rappresentava «la legge del grande disordine».
Il geologo di Oxford (e reverendo) Adam Sedgwick, che a Darwin aveva insegnato le basi della geologia, gli scrisse così: «Molte delle tue vaste conclusioni non possono essere né confermate né smentite». Persino il vescovo Wilberforce lo attaccò sul suo stesso terreno per aver violato la «severa legge baconiana dell’osservazione dei fatti» e averla sostituita con «l’ipotesi senza limiti».

Il fiore evoluto

L’Origine delle specie, in verità, raccoglieva un numero enorme di osservazioni nei campi della geologia, della paleontologia, della zoologia e della botanica. Ma per l’establishment conservatore e anglicano che comandava a Oxford e Cambridge non erano abbastanza. E allora, dove trovare una prova più convincente?
Come nei gialli più british, la soluzione era nel giardino di casa. Dopo il trasloco a Down House (una ventina di chilometri fuori Londra), Darwin aveva dedicato molto impegno a realizzare l’habitat adatto alle sue meditazioni scientifiche nei sette ettari di terreno a disposizione. Ricordando le passeggiate mattutine nella casa natale di Shrewsbury in compagnia del padre, aveva ricreato un sentiero circolare attraverso un bosco artificiale lungo il quale ponderare i problemi scientifici del momento. Addossata alla casa aveva fatto realizzare una serra non riscaldata, apparentemente inadatta ad ospitare un laboratorio di ricerca di alto livello. Proprio lì, Darwin iniziò a coltivare diverse specie di orchidee. Sembrava un’occupazione secondaria cui lo scienziato dedicava solo un’ora al mattino e una al pomeriggio. Passarono pochi mesi e l’hobby si trasformò in un vero progetto di ricerca che divenne decisivo anche per la bistrattata teoria della selezione naturale. Darwin iniziò a collezionare centinaia di orchidee di origine locale o inviategli per posta da una comunità di appassionati – nell’Inghilterra vittoriana, il giardinaggio era divenuto un passatempo diffuso. Darwin era sostanzialmente un autodidatta. Riconoscendolo come uno di loro, i dilettanti si rivelarono collaboratori più entusiasti rispetto agli accademici.
Da quello studio, nel 1862 derivò un’opera oggi ritenuta minore. In Italia apparve solo venti anni dopo con il titolo I vari espedienti mediante i quali le orchidee vengono impollinate dagli insetti ma gli studiosi di Darwin lo abbreviarono in Fertilisation of Orchids. Nonostante la modestia dell’argomento, il suo prestigio come ricercatore sperimentale crebbe enormemente e convinse i critici a prendere sul serio anche la teoria esposta nell’Origine delle specie.
Con un’abile «mossa laterale contro il nemico», come la definì lui stesso, Darwin aveva individuato un tema meno eticamente sensibile e più adatto ad uno studio approfondito ed ortodosso.
Mentre i tempi lunghi della paleontologia, infatti, non consentivano osservazioni «riproducibili» in laboratorio come richiede il metodo scientifico, le sperimentazioni sull’impollinazione delle orchidee e sull’interazione tra queste e gli insetti potevano essere replicate anche nel giardino di casa. Darwin arrivò a chiarire numerosi meccanismi fondamentali della biologia vegetale rivelandosi «il più grande osservatore e sperimentatore che la botanica abbia mai visto» (John D. Hooker).
In Fertilisation of Orchids era riuscito a spiegare la straordinaria varietà anatomica delle orchidee senza fare appello all’intervento divino, di cui fin lì era considerata una meravigliosa dimostrazione. Le morfologie osservabili, invece, sono il frutto della coevoluzione dei fiori e delle farfalle che li fecondano. Falene e farfalle si nutrono del nettare che si trova in fondo allo «sperone» (un’appendice cava dell’orchidea) infilandoci una sorta di proboscide, e così trasportano da un fiore all’altro il polline. L’evoluzione delle orchidee è influenzata da quella dei lepidotteri, perché la pianta può riprodursi con maggiore probabilità se la farfalla che la impollina ha vita lunga, e allo stesso tempo l’insetto che voglia sopravvivere ha bisogno di orchidee in salute che ne garantiscano il nutrimento. La selezione naturale, dunque, favorisce il gioco di squadra tra farfalle e orchidee.
L’approccio permise di risolvere alcuni rompicapo che né la botanica né la biologia più in generale, fortemente ancorata al principio della fissità delle specie, riusciva a chiarire. Le orchidee ne fornivano a bizzeffe. Per esempio, fu Darwin a risolvere l’enigma del catasetum, un’orchidea ribelle al dogma. Sulle piante di catasetum tridentatum spuntavano tre tipi distinti di orchidea, come se una specie potesse trasmutarsi in un’altra senza intervento divino. In realtà, scoprì Darwin, si trattava di un’unica specie con una speciale attitudine queer che, per evitare l’auto-fertilizzazione, esibiva fiori tri-sessuati (maschili, femminili o ermafroditi) diversissimi tra loro con grande libertà. Senza considerare il sistema congiunto «fiore-più-insetto», sarebbe stato difficile comprenderlo. Non sfuggiva a nessuno: Fertilisation era la prosecuzione dell’Origine delle specie con altri mezzi, e stavolta la guerra era vinta.

Coleotteri africani

Certo il ragionamento portava a conclusioni un po’ estreme. Ad esempio, se esiste un fiore con uno sperone lungo trenta centimetri (l’orchidea «cometa»), bisogna credere che esista anche un coleottero in grado di pescare nettare così in profondità. Ma dice sul serio, Charles? «In Madagascar devono esistere farfalle notturne la cui proboscide può essere allungata sino a dieci o undici pollici», scrisse imperturbabile. Qualcuno rideva, aspettandolo al varco.
Aveva ragione Darwin, ovviamente, anche se non lo seppe mai. Nel 1903, ventuno anni dopo la sua morte, due entomologi tedeschi tornarono dall’Africa con una specie di falena denominata xanthopan morganii la cui «spiritromba» (il vero nome della proboscide) arrivava proprio a trenta centimetri. La chiamarono praedicta e nessun teologo ne ebbe da ridire. La teoria di Darwin era ormai affermata e anche la genetica muoveva i primi passi. Proprio grazie alla sintesi con le leggi dell’evoluzione, cent’anni dopo la biologia avrebbe spodestato la fisica come «regina» delle scienze. Ma l’uomo che dal suo giardino aveva saputo vedere così lontano, forse aveva previsto anche questo.