Da buon «cooperatore» non ama gli scontri, Giuliano Poletti. Preferisce di gran lunga «trovare le soluzioni», come ha fatto nella sua prima vita in cui da amico di Bersani si è inventato il compromesso storico fra le sue coop rosse e quelle bianche per rilanciare il mutualismo ai tempi della crisi. Il suo proverbiale pragmatismo emiliano-romagnolo però ora dovrà essere messo da parte per portare avanti la sua «seconda vita», quella da ministro del governo Renzi. Perché anche lui è ormai consapevole che «lo scontro» con i sindacati ci sarà.

Sull’articolo 18 «l’accelerazione di Renzi è dovuta anche alla mancata crescita. Quando si è capito che la ripresa prevista a fine anno non sarebbe arrivata, ha deciso di cambiare passo per cavare la macchina Italia dal buco in cui è ancora incastrata. Il tema che ha deciso di affrontare è quello delle riforme, quindi anche della riforma del lavoro e conseguentemente dell’articolo 18». Su questo rovente tema la posizione del ministro del Lavoro è totalmente laica: «C’è chi dice che è decisivo perché gli stranieri vengano ad investire da noi; c’è chi dice che non cambia niente; c’è chi dice che senza ci saranno milioni di licenziamenti. Ecco, noi dovremo decidere come muoverci, ma una cosa la posso garantire: la reintegra in caso di licenziamento per discriminazione non è in discussione», spiega senza mostrare preferenze.

Giocando in casa, alla Festa de l’Unità di quella Modena dove le coop sono ancora l’asse portante della città, capaci di dettare equilibri e svolte politiche e dove il renzismo ha fatto breccia fra i cooperatori – «Renzi la pensa come noi, Bersani come i sindacati», sottolinea uno di loro – anche se poi sindaco e segretario cittadino non lo sono, Giuliano Poletti tratteggia la sua scomoda posizione: di chi ha scritto l’emendamento che ha fatto applaudire Sacconi e Ichino e ora dovrà affrontare altri difficili passaggi. Convinto però di non subirli.

«Il 29 settembre ci sarà la Direzione del Pd per discutere di riforma del lavoro e legge di stabilità. Io non ne faccio parte, ma se mi invitano ci vado volentieri», racconta prenotandosi per un posto al tavolo di chi deciderà, cercando di ritagliarsi il ruolo che meglio gli si addice: il mediatore. «Sui tempi di approvazione della delega noi l’8 ottobre abbiamo a Milano il vertice europeo sul lavoro. È normale che per quella data vorremmo avere l’approvazione al Senato. Sicuramente alla Camera potranno esserci modifiche senza scontri, trovando la sintesi. Come il Decreto lavoro ha iniziato alla Camera e poi è stato modificato al Senato, al contrario succederà ora. La cosa importante è non fare la fine del collegato Lavoro (di Sacconi, ndr) che ebbe 8 passaggi parlamentari!».

La cosa che gli preme più fare in questi giorni è spiegare il testo attuale – l’emendamento in cui l’articolo 18 non è neanche citato – e il cammino di un provvedimento così complesso come una delega. «Abbiamo già avviato un lavoro preparatorio per esempio sulle nuove coperture degli ammortizzatori sociali: per estendere l’Aspi ai co.co.pro o per la maternità per i precari servono coperture che devono essere previste nella legge di stabilità».

Oltre all’articolo 18, i capitoli delicati – e criticati dai sindacati e dalla sinistra – della delega sono due: «Per quel che riguarda il demansionamento abbiamo semplicemente deciso di normarlo, di dargli regole che tutelino lavoratore e impresa. Perché la verità è che il demansionamento avviene già in tutte le aziende che sono in crisi per difendere il lavoro, ma non è regolato». Sui voucher invece «decideremo a quali settori estenderli. La grande novità riguarda la loro tracciabilità: in questo modo combattiamo il lavoro nero. Nella cura delle persone, ad esempio: si pagheranno i contributi e l’assicurazione».

Un contentino alla sinistra e alla Fiom arriva invece dai contratti di solidarietà, cavallo di battaglia di Landini. «Faremo quelli espansivi: se un’azienda vuole ingrandirsi ma non ha le possibilità, potrà chiedere ai propri addetti di lavorare meno tutti un poco per permettere di assumere degli altri, naturalmente incentivando la cosa fiscalmente».

La chiusa del dibattito comunque lo riporta alle radici, alla natura del cooperatore. «Io non sono ideologico, il decreto lavoro, ad esempio, non è la Bibbia. Se va male lo cambio. Finora i risultati sono buoni: +16% apprendistato e più 1,5% sui tempi indeterminato che mi dicevano dovevano sparire. Ma è vero che ho scelto di rendere più facile il tempo determinato perché pensavo anche che con un po’ di ripresa sarebbe stato il contratto che le aziende avrebbero scelto per assumere». Una natura che lo porta ad auspicare un confronto con le parti sociali, sebbene in salsa renziana.

«Verrà il tempo del confronto con i sindacati. Le forme le troveremo, ma il punto vero è la sostanza: come si fanno le cose, quando si decide. Anche perché ci sono milioni di cittadini e lavoratori non rappresentati in una associazione: noi dobbiamo parlare e decidere anche per quelli. Il punto cruciale è che parleremo con tutti ma poi ci prenderemo la responsabilità politica di decidere».