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Erano alcuni anni che dei personaggi di Fred Vargas si erano perse le tracce. La squadra del commissario Adamsberg non era però assente dalle librerie italiane. Forte del successo crescente, Einaudi ha praticamente tradotto tutti i romanzi della medievista francese e più volte ristampato le storie dello «spalatore di nuvole», come viene qualificato Adamsberg per quell’aria un po’ svagata che lo contraddistingue. Ora a quattro anni di distanza dall’ultima uscita, la casa editrice torinese ha pubblicato Tempi glaciali (Einaudi, pp. 444, euro 20, traduzione di Margherita Botto), un romanzo che ha tutta l’aria del congedo del commissario capo. Jean-Baptiste Adamsberg, a differenza di molti protagonisti di noir, è invecchiato nel tempo, da quando giovane poliziotto di provincia è stato catapultato nella metropoli parigina. Ora è un uomo maturo, più vicino ai sessant’anni che non all’età della ragione. La sua squadra si è arricchita di personaggi, oltre quelli della prima ora.

C’è Danglard, il vice erudito che deve riempire la testa di conoscenza per colmare un vuoto esistenziale, Presente anche il poliziotto che si addormenta ogni tre ore; o la poliziotta-maschiaccio che riesce a stendere più di un malvivente per volta. Massiccia e imponente, commenta acida un tentativo di stupro nei suoi confronti con un: «potrei prenderlo come un complimento», dopo però aver mandato all’ospedale i tre «coatti» di periferia che volevano violentarla. La vivandiera che rifocilla la squadra è sempre lì, materna, ma è una smanettona che farebbe la gioia di un hacker politicizzato, visto che, incurante della divisa che indossa, viola i firewalls dei potenti della Francia, perché nessuno è intoccabile, anche se è nei piani alti della piramide sociale. Da poco tempo si è però aggiunto il paesano con una striscia di capelli rossi, con il quale Adamsberg ha un rapporto intenso, oscillante dal profondo rispetto alla altrettanto abissale diffidenza.

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Adamsberg vive in un caseggiato molto diroccato, in un quartiere sì centrale di Parigi, ma fuori dai flussi turistici e dalle ondate speculative che hanno consentito al rapace capitale finanziario di cacciare abitanti per ristrutturare e vendere gli immobili ai nuovi ricchi di ogni parte del globo. In quel caseggiato fa lunghe conversazioni con un anarchico spagnolo, o forse argentino, un concentrato piacevole di saggezza, disincanto e allergia al potere costituito. I loro duetti sono sul senso della vita, le donne e un mondo che si muove su binari sospesi nel vuoto.

Ed è durante uno dei conciliaboli che Adamsberg si domanda se è arrivato il tempo di lasciare la squadra anticrimine al suo destino. Sono tutti cresciuti, formano un gruppo affiatato, capace di districare la matassa dei crimini da risolvere.

Tutto inizia con un suicidio. Ovviamente apparente. Ne segue un altro. Niente sembra collegare le due morti, ma quando i cadaveri diventano tre, lo «spalatore di nuvole» riesce ad agguantare un bandolo e comincia a riavvolgere i fili: arriverà a scoprire l’esistenza di uno strano gruppo di francesi che si riuniscono per mettere in scena, con abiti e set ricostruiti rigorosamente, i discorsi della convenzione, quando Robespierre è al comando del potere postrivoluzionario. In questo viaggio nel tempo, c’è una deviazione verso le terre d’Islanda, dove tutto sembra iniziato.

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Mai come negli altri romanzi Adamsberg insegue in solitaria la prefigurazione della verità che si cela dietro omicidi del presente e morti che vengono dal passato remoto (la Rivoluzione francese non fu un pranzo di gala per nessuno) e dal passato prossimo. Emerge un affresco della Francia contemporanea che sfugge a ogni rappresentazione che il noir oltralpe ha prodotto. La divisione in classe non è certo venuta meno, né l’ipocrisia che si cela dietro il richiamo ai valori della Repubblica, con magistrati che usano le aule di giustizia per imporre una visione quasi medievale dei rapporti sociali. La vita scorre nel suo divenire, occultando tutto quanto.

Molti critici si sono scagliati contro Fred Vargas accusandola di non sapere scrivere gialli, polar o noir, ma di essere solo una scrittrice mediocre. Giudizi sciocchi. Dietro le storie di Adamsberg c’è un sapiente lavoro di scrittura che scardina i generi. Da questo punto di vista, ma l’accostamento è solo una convenzione per segnalare la maestria letteraria della Vargas, i romanzi della scrittrice francese hanno sullo sfondo, come figura tutelare, George Simenon.

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Come il padre di Maigret, Vargas sonda la società francese, ne rivela il lato oscuro. E se per Simenon il fondo limaccioso era da ricercare nella piccola borghesia, per Vargas è invece da individuare nei nodi irrisolti della storia moderna francese, cioè in quel trittico di libertà, uguaglianza e fraternità in base al quale sono state fatte rivoluzioni ma anche per restaurare e legittimare un ordine sociale fondato sull’oppressione e la divisione in classi della società.
Adamsberg spala nuvole, non ha metodo di indagine, ma pensa e molto. La verità è a portata di mano, meglio di pensiero. E la trova in Islanda, dove si compie l’ultimo atto di una educazione sentimentale dopo il quale la maturità è raggiunta, anche se questo non significa rinunciare alle passioni che, se condivise con altri, possono smuovere le montagne e cambiare il mondo.

D’altronde, in Fred Vargas le passioni tristi appartengono solo a chi getta alle ortiche la gioia del «pensare in comune». Oppure invadono il campo delle relazioni sociali quando si impedisce ai propri simili di crescere. È la verità più forte di questo noir «ragionante». Ed è per questo che Tempi glaciali può essere letto come un romanzo di svolta nella vita di carta di Adamsberg. In attesa di conoscere cosa accadrà all’ormai maturo signore che ama camminare scalzo quando incontra uno straccio di manto erboso.