«Non mi sono mai posto l’obiettivo di far uscire la Grecia dall’eurozona. Questo obiettivo lo ha sostenuto la parte avversa. Se lo avessi fatto io sarei stato un folle o un vero traditore. Far uscire la Grecia dall’eurozona non avrebbe dovuto essere un incidente di percorso ma la conclusione di un piano studiato e messo in pratica dal ministro delle Finanze tedesco. Il piano era ben studiato e prevedeva l’asfissia finanziaria del paese, che avrebbe dovuto portare alle dimissioni del primo governo di sinistra del paese, cedendo al ricatto tedesco e volendo proprio evitare l’uscita, o meglio, l’espulsione dall’eurozona, che avrebbe lasciato il popolo greco in balia del Fondo Monetario Internazionale».

Con queste parole Alexis Tsipras ha commentato i due anni del suo governo in un’intervista al Giornale dei Redattori ateniese. Il giorno seguente il premier greco ha visto nella riunione dell’eurogruppo risorgere quel fantasma della Grexit. Con una situazione resa ancora più complicata dalle imminenti scadenze elettorali nei grandi paesi europei, con la Germania al primo posto.

La complicazione maggiore ruota attorno al ruolo del Fmi nel programma di «salvataggio» greco. Da molti mesi il Fondo sostiene due cose: la prima è che il debito greco (185% del Pil) non è sostenibile, quindi ci vogliono «radicali misure di alleggerimento». La seconda appartiene all’universo fantasioso di Poul Tomsen, l’ex responsabile del programma greco, promosso a capo del Fmi in Europa. Il terzo memorandum, sottoscritto da Tsipras nel luglio 2015, è praticamente compiuto e gestito in maniera rigorosa ma con un minimo di attenzione verso la società. L’economia greca si è stabilizzata, la corsa del Pil verso il basso si è interrotta, l’evasione fiscale ridotta e gli ultimi due anni sono stati chiusi con avanzo primario di molto superiore alle previsioni. Ma tutto questo non basta al bravo Tomsen. Dopo i clamorosi fallimenti delle sue previsioni (nel 2011 era previsto l’aumento del Pil del 2%, ma è crollato di 10 punti), il funzionario danese ha decretato che le misure già adottate non bastano. Ci vogliono nuovi tagli a stipendi e pensioni per 4,5 miliardi per il periodo dopo la fine del programma, nel 2018, da adottare «preventivamente» già da adesso.

«Si tratta di una misura che va contro non solo la Costituzione greca ma anche contro le norme democratiche e le regole europee. Se l’Unione Europea funzionasse come dovrebbe, una richiesta del genere non sarebbe stata neanche posta. È questione di dignità e di rispetto verso se stessi, verso i popoli e le istituzioni», è stato il commento di Tsipras.

Anche in Europa la richiesta di «misure preventive» è apparsa piuttosto stravagante, con il francese Sapin e il commissario Moscovici a schierarsi decisamente contro. Ma chi conta nella nostra povera Europa non sono loro ma il famigerato Schauble, che ha trovato nella geniale idea del Fmi un ottimo appiglio: la valutazione sull’applicazione delle misure da parte dei creditori non è conclusa, ha ripetuto ieri all’Eurogruppo: bisogna applicare anche quelle «preventive».

Tre giorni fa il board del Fondo ha presentato il suo studio sul caso greco, dicendo che, anche nel caso fossero applicate, le misure «preventive» non basterebbero: ci vuole l’alleggerimento del debito. No, su questo Schauble non è d’accordo. Né concorda con l’uscita del Fmi dal programma greco, visto che dall’estate del 2014 ha smesso di metterci soldi. In periodo elettorale, l’elettore tedesco ci vedrebbe un peso accresciuto per l’erario di Berlino in favore dei «poltroni greci».

È un rebus difficilmente risolvibile. Intanto i mesi passano e la Grecia rischia di trovarsi di nuovo, come due anni fa, a dover pagare le rate di un debito immenso senza avere un euro nelle casse. Forse è questo il piano di Schauble: riproporre l’uscita «volontaria» dall’eurozona, in modo da liberarsi gradualmente di tutti i paesi problematici.

Cosa farà Atene? Nell’intervista Tsipras ha citato il libro di Moscovici, la sua autocritica per aver «lasciato la Grecia sola» e lo spostamento della socialdemocrazia europea su posizioni più ragionevoli.

Oggi si tiene a Lisbona il secondo vertice dei paesi dell’Europa del sud, la fortunata formula inventata proprio da Tsipras. Il premier greco ne aprofitterà per discutere il problema con leader non più avversari ma amici. È la vecchia linea di Syriza di trovare una «soluzione politica» al problema dell’eurozona. Nel 2015 è fallita miseramente, tra le cravatte di Renzi e l’inerzia di Hollande. Ora, dopo la Brexit e con lo spettro dei partiti antieuropei di Francia, Italia e Olanda a un passo dal governo, forse la politica europea saprà trovare la strada per uscire dalla palude.