Riflettori puntato sul Tachira, alla frontiera tra Venezuela e Colombia, dove vige da quasi una settimana lo stato di eccezione. Una misura decisa dal governo Maduro per far fronte al contrabbando di merci e denaro, che sta dissanguando il paese. Solo durante il primo giorno dell’operativo denominato Olp (Organizzazione per la liberazione e la protezione del popolo), nei sei municipi del Tachira interessati dallo stato d’emergenza, le Forze armate hanno requisito 56 tonnellate di prodotti sottratti.

Dall’agosto del 2014, quando il governo ha intensificato la lotta al contrabbando alla frontiera, sono state recuperate oltre 20mila tonnellate di articoli di prima necessità, nascosti in depositi clandestini o sotterrati. Nella cittadina frontaliera di Cucuta, dal lato colombiano, tutto questo avviene alla luce del sole e molte inchieste giornalistiche hanno mostrato la tracotanza dei mercanti.

I commercianti ammettono che l’80% dei prodotti venduti proviene dal contrabbando con il Venezuela. Un traffico alimentato da una vasta rete di corruzione.

Nel paese abitano 5,6 milioni di colombiani, che usufruiscono delle politiche sociali garantite dallo stato venezuelano. Dalla frontiera con la Colombia, sono arrivate, però, anche le mafie e le bande paramilitari: pronte a destabilizzare il governo che ne ostacola i traffici e che contrasta gli interessi di chi tira le fila del business. Le miniere illegali, il contrabbando di prodotti sussidiati e combustibile (in Venezuela un pieno di benzina costa meno di una bottiglia d’acqua), rendono infatti più del traffico di droga. E prosperano anche grazie al mercato del dollaro illegale, che beffa apertamente il controllo dei cambi vigente in Venezuela e ne perverte l’economia.

In questi giorni, a pochi metri dalla frontiera con la Colombia, è stato scoperto un bunker sotterraneo che custodiva esplosivo, denaro e divise militari, probabilmente destinato a rinchiudere le vittime di sequestri. Sono state arrestate dieci persone, sospettate di appartenere alla banda di paramilitari colombiani Los Urabeños, dedita al traffico di droga, armi e a quello di persone. Nella stessa zona, è stata scoperta una casa di appuntamenti in cui si trovavano 500 ragazze, molte delle quali minorenni.

Il governo colombiano, presente durante gli operativi attraverso il personale del consolato, ha dichiarato che, da venerdì scorso, sono state rimpatriate 1071 persone. Al contempo, è stato istituito un corridoio umanitario per consentire il passaggio delle emergenze.

Il vicepresidente, Jorge Arreaza e il presidente del parlamento, Diosdado Cabello si sono recati nelle zone di frontiera, dov’è iniziato un censimento straordinario degli abitanti e degli esercizi commerciali in attività. E ieri si sono riunite le ministre degli Esteri, la venezuelana Delcy Rodriguez e la colombiana Angela Holguin.

Da mesi, Maduro denuncia il crescendo della “guerra economica” in vista delle elezioni legislative del 6 dicembre. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata però la sanguinosa aggressione di un gruppo paramilitare a una unità di frontiera venezuelana. Da lì, la drastica misura, decisa inizialmente per 72 ore e poi prolungata “per un tempo indefinito” e approvata all’unanimità dal parlamento. Lo stato di emergenza è contemplato dalla costituzione in situazioni eccezionali e prevede la sospensione di alcune garanzie.

Alle operazioni partecipano il Difensore del popolo e gruppi di avvocati. Secondo un recente sondaggio, oltre il 70% della popolazione venezuelana di frontiera approva la decisione del governo.

Alcune Ong di opposizione, come Provea, alzano però la voce. La destra, sempre pronta a cavalcare il tema della sicurezza e le campagne xenofobe contro gli immigrati colombiani, ora accusa il governo di voler cancellare le legislative di dicembre estendendo lo stato di eccezione. L’omicidio di un’attivista di opposizione, uccisa e fatta a pezzi da un gruppetto di militanti della destra, che avevano legami ai più alti livelli con dirigenti di vari partiti antichavisti, ha portato in luce il sottobosco che ha alimentato e finanziato le proteste violente contro il governo, scoppiate l’anno scorso. Uno degli arrestati a confessato anche l’esistenza di un piano per sequestrare la figlia di Cabello, ordito da una esponente del partito Primero Justicia, a cui appartiene Capriles.

Secondo il chavismo, nel paese è in corso un processo di militarizzazione della criminalità comune che sta esportando nel paese metodi e pratiche di stampo messicano e colombiano. L’ex presidente colombiano, Alvaro Uribe, che è di nuovo pesantemente intervenuto nella politica venezuelana, è accusato di essere il regista delle operazioni destabilizzanti portate avanti dai paramilitari. In questi giorni, Uribe si è recato a Cucuta, per denunciare “la dittatura cubano-venezuelana” e ha annunciato di voler mettere a disposizione le sue tenute per accogliere i rimpatriati colombiani.

Sulla questione dei migranti, la politica del governo Maduro, che promuove l’alleanza sud-sud nel continente ha sempre seguito l’indirizzo: “pace con giustizia sociale”. Di fronte ai respingimenti e alle tragedie quotidiane nel Mediterraneo, il presidente venezuelano ha preso posizione anche di recente: se il 20% del bilancio della Nato non fosse investito in armi da guerra ma in salute ed educazione per i popoli dell’Africa, si vedrebbero rapidamente i risultati – ha detto – denunciando nuovamente “la politica del caos, di bombardamenti e invasioni che ha caratterizzato la distruzione della Libia”.

A differenza della Colombia, disseminata di basi nordamericane, il Venezuela non dedica oltre il 3,4% del suo Pil alle spese militari, ma appena poco più dell’1%.

“Abbiamo insegnato a leggere e a scrivere a oltre 200.000 colombiani, perché in Colombia l’educazione è privata e i poveri non hanno diritto allo studio”, ha detto Maduro, e ha chiesto al popolo colombiano di aiutarlo. Il Movimento Marcia patriottica, che sostiene il processo di pace tra governo colombiano e guerriglia marxista, ha risposto con un comunicato di appoggio.