Quando negli scorsi giorni il senatore Stefano Esposito ha sollevato una polemica sull’aumentato costo della Tav, fino a dichiarare che a quel prezzo è inutile farla, chi come me è contrario da sempre alla realizzazione di quell’opera è rimasto sorpreso.

Come se il noto capitano in un improvviso raptus rinnegasse il noto bastoncino dicendo: costa troppo! (vedi anche Chiamparino, ndr)

Del super treno è un ultrà, non vi è notizia, convegno di LTF, dichiarazione di Virano a cui lui non partecipi, manifestazione, iniziativa, o singolo tweet di questo o quell’altro attivista del movimento che lui non denigri e su cui non intervenga.

Sorprende la sorpresa, infatti che i costi della Tav sarebbero cresciuti non lo dicono i maldicenti, ma il bollettino di guerra delle grandi opere: addirittura la realizzazione dell’alta velocità in Italia doppiò le previsioni.
Quindi ha fatto bene Sel a chiedere immediatamente di interrompere la realizzazione dell’opera, rilanciando la necessità di una commissione di inchiesta.

Ma ad essere in discussione è solo il costo finale di questa opera? Il rapporto da sempre molto sbilanciato fra investimento e utilità?

Lo scorso luglio quasi nel silenzio ed inosservata, a Torino, dopo quella Minotauro del 2011, scattava la seconda vasta operazione contro la Ndrangheta denominata San Michele, chiamata così proprio perché concentrata geograficamente in Val Susa.

A leggere gli atti di queste due ordinanze ci sarebbe da farsi alcune domande e sopratutto da pretendere importanti risposte dai protagonisti gestionali del Cantiere Tav: LTF e il commissario Mario Virano. Quest’ultimo, recentemente, è stato audito dalla Commissione Legalità della Città di Torino di cui faccio parte, ed ha preferito non rispondermi.

Quando il 27 giugno del 2011 le forze dell’ordine hanno sfondato i cancelli della Maddalena davanti a loro vi era una ruspa marchiata Italcoge, il cui dominus è Ferdinando Lazzaro, assorto agli onori delle cronache agli inizi degli anni duemila per reati di turbativa d’asta negli appalti per opere pubbliche e con una serie di fallimenti alle spalle.

Ripristinata la legalità con cotanta qualificata testa di ponte, bisognava costruire il cantiere e sopratutto recintare “l’area di interesse strategico nazionale”, quindi LTF nell’estate del 2011 decise di spacchettarne in due lotti la realizzazione, rendendo così l’importo sotto soglia e potendo quindi procedere ad affidare direttamente i lavori senza gara d’appalto.

Per un così delicato compito vengono chiamate da LTF la stessa Italcoge e la Martina Service Srl.

Di Italcoge, abbiamo già accennato in precedenza, bisognerebbe però aggiungere che nel maggio del 2011 a Torino era scattata l’operazione Minotauro ed era circostanza oramai nota (io stesso avevo pubblicato on line gli atti dell’inchiesta) che la Italcoge aveva dato lavoro a Bruno Iaria, Ndranghetista, capo della locale di Courgnè. Martina invece era una società costituita pochi mesi prima e con soli 10.000 euro di capitale sociale che aveva per unico socio ed amministratore Emanuela Cattero moglie e di fatto prestanome del marito Claudio Pasquale Martina. Anche la famiglia Martina era caratterizzata da un passato turbolento, fatto di fallimenti fraudolenti.

Un rapporto del nucleo investigativo dei carabinieri di fine dicembre 2011 definisce questi legami ed estende ombre nuove su appalti pubblici.

Nel dossier il colonnello Domenico Mascoli inserisce uno schema dei lavori aggiudicatisi da un altra azienda, fallita nel 2010, la Foglia Costruzioni e condivisi con Italcoge spa dei Lazzaro.

Vi spiccano interventi sull’autostrada Salerno Reggio Calabria e su acquedotti calabresi oltre ad altri lavori in Valsusa per RTI mai ultimati. I carabinieri sottolineano uno snodo societario a loro dire cruciale: «L’acquisto della fallita Foglia da parte di Finteco», altre società che riconducono al controllo occulto di Giovanni laria, zio del già citato Bruno, arrestato come esponente di spicco della Ndrangheta subalpina.

Gli investigatori informano che per lungo tempo ha fatto la spola fra il Canavese e Santo Domingo. E nel 2007 fotografano 14 imprenditori e un dipendente Sitaf (concessionaria autostradale in Valle Susa) mentre entrano in casa sua, a Cuorgné, per un incontro di affari. Nel gruppo si nota Claudio Pasquale Martina.

Insomma dai rilievi degli inquirenti in realtà Martina ed Italcoge apparterrebbero pressoché allo stesso sodalizio e risulta incredibile che siano stati scelti da RTF al di fuori di procedure di gara.

A dare però uno spaccato ancora più chiaro dell’interesse dell’onorata società per il cantiere sono i subappaltatori scelti da Italcoge e prontamente autorizzati da LTF, infatti per le bitumazioni delle strade sterrate su cui devono passare i mezzi di cantiere e i blindati della polizia viene chiamato Giovanni Toro, arrestato poi nel 2013 per concorso esterno in associazione mafiosa.

In una intercettazione dell’estate del 2011 dirà: “minchia bisogna che prendiamo noi Chiomonte”. Sarà proprio così, infatti quando nelI’agosto del 2011 Italcoge e Lazzaro fallirà per l’ennesima volta, LTF non solo non revocherà l’appalto ma addirittura accetterà che una nuova società, la Italcostruzioni (ancora una volta controllata da Lazzaro) affitti il ramo di azienda della ex Italcoge ritornando nel cantiere, O meglio non uscendone mai. Infatti nel dicembre 2012 Lazzaro e Toro intercettati sul consorzio Valsusa diranno: “Nando, che bel consorzio, prendiamo tutto noi!”

Lo stesso Toro attraverso la fornitura di cocaina convinceva un altro imprenditore ad affidargli altri lavori del cantiere e sopratutto a indicare la cava di Toro presso Sant’Ambrogio come cava per i terreni di scavo, con buona pace del bravo e NoTAV sindaco Fracchia che intanto ingaggiava con questa banda una lotta serrata a difesa del suo territorio.

In realtà dalle indagini risulta che Toro non abbia realizzato gli asfalti ad opera d’arte, infatti intercettato rimarca che invece dei 12 cm di asfalto previsti ha posato solo pochi centimetri, ma Lazzaro lo rassicura, tanto è “d’accordo con Elia di LTF su dove faranno i carotaggi di controllo”.

Possibile che le scorribande di Toro e Lazzaro non agitino i sonni dei dirigenti di LTF, di Virano e dei sostenitori dell’opera?

Come può essere che quel perimetro definito “sito strategico nazionale” sia così permeabile agli interessi criminali?

Va ricordato che chi per protestare contro la Tav ha aggredito quel cantiere oggi è accusato di terrorismo.

A infittire i miei dubbi ci pensano ancora Toro e Lazzaro, Toro: “minchia.. sti cazzo di 4 assi non hanno i permessi! … senti una cosa riesci tu a fargli fare un permessino a questi 4 assi? veloce…” Lazzaro: “si, gl..gli.. e lo faccio fare attraverso la Prefettura, gli … gli dico che dobbiamo asf.. asfaltare è urgente”.

A sentir loro era chiaro, chi decide e chi entra.

Questi fatti sono del 2011-2012, cosa è successo dopo?

Ci si fermi subito e si indaghi presto

* Michele Curto è il Capogruppo di Sel al Consiglio Comunale di Torino