I sondaggi? E chi li guarda più! Solo a nominare l’aborrita parola di fronte a ufficiali e generali renziani spunta un sorrisetto sprezzante. Segue immancabile il riferimento agli allori di Trump, accompagnato da un bagliore negli occhi che spezza per un attimo l’ombra fitta di preoccupazione, poco consona all’incredulità conclamata. Certo le sirene d’allarme sono fatte suonare a distesa dalla stampa amica per allertare i distratti del Sì e spingerli alle urne. Le cifre sono probabilmente gonfiate per dare una mano più che per fare danno. Ma l’inquietudine resta.

Quando dal conto complessivo, notoriamente effimero e per molti versi funzionale proprio al Sì, si passa ai trend e alle fasce di elettorato il discorso diventa più spinoso. Più del distacco di 7 punti e passa a favore del No, inquieta lo zero assoluto conquistato dal premier in due mesi di indefessa campagna gestita in primissima persona, condita con regali e mance, coadiuvata da media zelanti. Per la verità l’effetto di tanto sforzo si direbbe anzi controproducente: secondo Ilvo Diamanti in settembre, quando il premier si leccava le ferite delle comunali e disertava gli schermi, il Sì guidava la corsa con 8 punti di vantaggio. Oggi è sotto di 7, per un totale di 15 punti tondi persi…

Poi ci sono le fasce d’età, e anche lì il verdetto è troppo unanime per ignorarlo: proprio il governo i cui ministri, appena insediati, rifiutavano collaboratori over 50 in nome del «nostro brand giovanile» (sic) va ora a gonfie vele dai 65 in su, precipita via via che l’età scende, annega con i No al 59% quando si arriva ai giovani propriamente detti, quelli tra i 18 e i 30.
Trump o non Trump la paura cresce, e più sale la paura, più cresce la tentazione di mettere da parte i discorsi dotti in punta di art. 70, i trucchi come la patetica letterina, persino i regalini che vai a capire come mai stavolta non funzionano, per lasciare spazio alla propaganda più antica del mondo: quella fondata sul terrorismo. Persino il compassato Padoan si è fatto travolgere dall’onda e ormai non passa giorno senza che ripeta, con toni vieppiù apocalittici, che le sorti del Pil non dipendono dalle scelte del governo ma da quelle dei governati: crescita e lavoro o recessione e disoccupazione? Scegliete pure in piena libertà, sennò che democrazia è.

Va da sé che su quel terreno sdrucciolo Renzi non lo batte nessuno: ingovernabilità, instabilità, dittatura di una casta che tornerà al potere più famelica che mai, paralisi per trent’anni e ancora e ancora, che magari si tocca pure il mezzo secolo al palo.

E’ propaganda e in fondo ci può stare: il divorzio tra eleganza e competizione politica non è mica un problema solo nostro. Il guaio è che il coro delle Cassandre elettorali si è fatto nelle ultime settimane assiepato. Per molti giornalisti dei Tg il richiamo ai rischi di sciagura è questione quasi di buona educazione, come il «buongiorno» o il «buonasera». Navigano sulla stessa rotta ben altre corazzate. Bankitalia, per esempio, che dopo un congruo plotone di potentati finanziari e politici fa la sua parte, col tono paludato che s’addice all’alta istituzione. Ieri ha spiegato che «gli indicatori di mercato registrano un aumento della volatilità in corrispondenza con il referendum» e dunque «si attendono turbolenze sui mercati». E’ come dire che se voti No voti lo spread. Ma con un certo sussiego.