Il partito di estrema destra Giustizia e Libertà (PiS) è tornato dopo dieci anni a controllare il Sejm, la camera bassa del Parlamento della Polonia. È l’esito quasi scontato di una sfida per il governo tutta al femminile tra Beata Szydlo (PiS), e il primo ministro uscente Ewa Kopacz di Piattaforma civica (Po), staccata di almeno dieci punti percentuali.

L’«orbanizacja» della politica polacca, annunciata a maggio scorso dal trionfo alle presidenziali dell’ex dirigente di Solidarnosc Andrzej Duda, è ormai alle porte. Al Sejm, il Pis dovrebbe contare, a corrente alternata, sul sostegno degli zmieleni «frantumati» del rocker populista Pawel Kukiz e di quello della lista germanofoba e russofoba capitanata da Janusz Korwin-Mikke che potrebbe superare la soglia di sbarramento del 4% al Sejm. Avranno alcuni seggi alle camere anche il partito centrista Psl con un elettorato appartenente di base alle zone rurali, e la lista dell’economista Ryszard Petru, noto intermediario di Tusk presso il Fondo Monetario Internazionale.

Esclusi i deputati dell’alleanza di Sinistra Unita (Zl) guidata dalla giovane Barbara Nowacka che non dovrebbe superare la soglia del 8% richiesta a tutte coalizioni per entrare in parlamento. Viene così stroncata sul nascere ogni ipotesi di alleanza tra Po e Zl su temi quali pari opportunità e politica ambientale. Difficile sperare che il partito di Szydlo si prodighi per migliorare la situazione contrattuale di quasi un milione e mezzo di precari assunti tramite le cosiddette smieciowki, i «contratti spazzatura», con i quali alcuni datori di lavoro non sono tenuti a versare nessuna forma di contributo ai lavoratori.

La formazione liberale dell’ex premier Donald Tusk, esiliatosi a Bruxelles con la carica di Presidente del Consiglio europeo è stata punita, forse oltremisura, anche da una parte dell’elettorato urbano per il recente «waitergate», uno scandalo di intercettazioni telefoniche registrate in due ristoranti della Capitale reso noto la scorsa primavera dal settimanale «Wprost». Qualche giorno fa proprio Tusk aveva sottolineato a Strasburgo, rivolgendosi a italiani, greci, ungheresi e slovacchi, che «tutti devono avere una responsabilità comune» nella difesa delle frontiere esterne. Secca era stata la replica di un Renzi offeso che aveva rivendicato il salvataggio italiano di numerose vite umane nel Mediterraneo.

Con la vittoria del PiS la recente schermaglia tra i due sulle politiche migratorie Ue potrebbe sembrare un’inezia tra qualche mese: Varsavia infatti potrebbe guidare il club degli stati sostenitori della politica del filo spinato che raccoglie tutti i paesi del Gruppo di Visegrad. Nonostante le resistenze interne al suo partito, Kopacz aveva confermato davanti alla nazione il proprio via libera all’accoglienza di altri 5000 rifugiati, oltre ai 2000 concordati da tempo con l’Ue.

Nel dibattito televisivo di lunedì scorso la nuova premier si era limitata a proporre l’invio di aiuti umanitari mentre Duda aveva paventato un «rischio epidemie» con l’arrivo di migliaia di residenti asilo in territorio polacco. Nella migliore delle ipotesi il nuovo esecutivo potrebbe accettare, sulla scia di quanto proposto dalla Slovacchia, qualche centinaia di profughi di guerra di confessione cristiana in barba ad ogni forma di discriminazione religiosa. Ma il grande modello ideologico e politico del think thank del PiS resta l’Ungheria xenofoba e nazionalista guidata con mano autoritaria dal partito Fidesz: negli ultimi la formazione di Orbán è riuscita a cambiare circa un terzo della costituzione ungherese senza troppe resistenze.

L’unica differenza sostanziale tra Budapest e Varsavia resta l’atteggiamento nei confronti di Mosca che il PiS non avrebbe paura di provocare intensificando la presenza Nato in Polonia e chiedendo l’istituzione di una commissione internazionale sulla strage aerea di Smolensk. La frazione dei falchi del PiS, guidata da Antoni Macierewicz, continua a seguire la strategia del sospetto alimentando la teoria del complotto sul presunto coinvolgimento di Putin nell’incidente dell’aereo presidenziale polacco. Tale atteggiamento potrebbe vanificare i tentativi diplomatici del Po, facilitati dalla presenza di Tusk a Bruxelles, di aumentare il peso diplomatico di Varsavia nella questione del vicino ucraino attraverso i contatti del Triangolo di Weimar con Francia e Germania. Uno sforzo che potrebbe essere ulteriormente vanificato dal rifiuto di adottare la moneta unica, uno dei cavalli di battaglia del partito fondato dai fratelli Kaczynski.
Sulla politica energetica, invece, il PiS storico sostenitore del settore minerario e della retorica del «carbone buono» continua a mantenere un atteggiamento ambivalente.

A sorpresa, Duda ha firmato qualche settimana fa un decreto anti-smog che lascia libertà ai voivodati di legiferare in materia di ambiente, nonostante i mal di pancia interni al proprio partito. Eppure il presidente polacco ha confermato la sua opposizione ad ogni politica di «dekarbonizacja» in uno dei paesi con il più alto tasso di inquinamento atmosferico in Europa. Nei prossimi anni la pressione da parte delle lobby delle fossili legate a Varsavia potrebbe salire alle stelle in sede Ue.