Lynn Segal è professore di Psicologia e di Studi di Genere a Birkbeck College dell’Università di Londra. Il suo libro “Straight Sex. Rithinking the Politics of Pleasures” (Sesso etero. Ripensare la politica dei piaceri) è considerato una pietra miliare della saggistica femminista.

In vista della sua ripubblicazione, Segal è stata intervistata dal Guardian. Nel libro si dissociava dall’idea che gli uomini sono nemici, che la violenza nei confronti della donna sia connaturata al loro genere. Nell’intervista riafferma: “Non credevo e non credo che ci sia una relazione naturale tra uomini e violenza, che le donne siano più ‘carine’. Anche loro possono essere violente”.

Nelle relazioni di desiderio, che sono complicate, le donne possono essere violente come gli uomini.

I tempi, i ritmi, le modalità espressive e le esigenze affettive degli amanti non si accordano in modo semplice (la differenza muove il desiderio, ma può entrare in contrasto con l’intesa). La libertà di scegliere (che rende possibile l’apertura) può contraddire il privilegio donato alla persona scelta (che rende più intima l’esposizione). Inoltre, per poter desiderare si deve rispettare l’oggetto amato, ma anche non rispettarlo, in parte.

Uccidiamo sempre dentro di noi, parzialmente, la libertà di ciò che amiamo, e accettiamo di farci uccidere nella nostra libertà. L’amore è rischioso e può sfociare nella delusione, nel rancore, nell’odio e nella violenza. Di ciò nessuno, uomo o donna, è immune.

Nella violenza affettiva, in cui l’amore può trasformarsi, i due sessi sono pari. Esiste, nondimeno, una violenza, che eccede quella correlata alla relazione di desiderio, in cui gli uomini primeggiano.

Invisibile nella sua essenza, è di derivazione sociale e non costitutivamente associata al genere: corrisponde alla perversione delle relazioni di desiderio (che sono legate al coinvolgimento/godimento profondo e liberatorio) in relazioni di potere (che contraggono e irrigidiscono la materia viva della soggettività).

Il primato triste dell’uomo in questo campo di violenza molto più distruttivo, è dovuto all’organizzazione psicocorporea della sua sessualità: meno destrutturabile e sciolta di quella della donna, è più omogenea alla struttura del potere che se ne impadronisce – ricompensando l’uomo con un privilegio improprio che lo danneggia come oggetto desiderante.

La violenza associata ai rapporti di potere che sostituiscono i legami erotici con la vita (nutrendosi delle loro sventure e catastrofi), non mira in sé alla distruzione materiale dell’oggetto desiderato, perché promuove soprattutto, silenziosamente, l’immobilità/alienazione psichica (che colpisce prima i potenti e poi i sottomessi, più gli uomini che le donne). La sua estrinsecazione come aggressività fisica maschile, ha principalmente la funzione inconscia, che sovradetermina l’azione individuale, di annullare il coinvolgimento convertendolo in eccitazione, che non va in profondità, ma diventa energia motoria, scaricandosi all’esterno. Sbarazzarsi di ciò che è intenso e profondo, con un atto che si dissocia dal sentire, introverte la soggettività e rinforza l’alienazione.

Quando l’alienazione raggiunge dimensioni estreme, l’uomo uccide la donna, oggetto (potenziale) del suo desiderio, uccidendo, in primo luogo, la parte femminile di sé, e diventa un morto vivente.

L’emancipazione delle donne è in rotta di collisione con il potere (che è senza sesso) e nella misura che esso si appropria del loro oggetto di desiderio, rischiano (come dice Segal), che in ogni avanzamento che fanno, il terreno scivoli sotto i loro piedi.